Ogni volta che la Chiesa ha incoraggiato il progresso della scienza e delle arti, la società tutta ne ha sempre beneficato
di Antonio Gaspari
È anziano, delicato, parla con voce dolce e suadente, sembra gracile ma ha la forza, la saggezza, il coraggio e la competenza di un gigante. Lo attaccano, lo criticano, i mezzi di comunicazione di massa gli lanciano contro montagne di fango, ma il Vescovo di Roma, va avanti, non recede.
Chiama a raccolta i suoi, con rigore chiede purificazione, obbedienza, umiltà e spirito di servizio. Gli attacchi esterni non lo scalfiscono, quelli interni lo amareggiano, ma lui procede saldo e veloce con il piglio di chi sta compiendo azioni che segneranno la storia.
Il Pontefice Benedetto XVI sta rivoluzionando la Chiesa cattolica, purificandola e preparandola alle sfide epocali di questo primo inizio di terzo Millennio. Come è accaduto sempre nella storia, c’è da sperare che il rinnovamento della Chiesa Cattolica porti sostegno e speranza a coloro che vogliono rinnovare anche il mondo, le modalità e le finalità della politica.
Quando i cristiani sfidavano la scienza, le conoscenze e le tecniche del tempo, costruendo cattedrali che svettavano verso il cielo, il potere civile cercò di stare al passo costruendo splendidi Palazzi Comunali. Quando la Chiesa istituiva le scuole e incoraggiava le arti, fondando università e commissionando opere d’arte, la società tutta se ne avvantaggiò, frequentando le accademie e realizzando la rinascenza. Insegnando a praticare la carità, con la cura degli uomini nel corpo e nelle anime, la Chiesa cattolica fondò gli hospitales e interi ordini religiosi si dedicarono a curare i malati.
La società civile capì la lezione e ne trasse subito giovamento, imparando a porre attenzione verso i deboli ed i malati che venivano precedentemente cacciati, isolati e abbandonati. Di fronte alla crisi di civiltà che sfida il mondo intero, quello avanzato in particolare, c’è una luce sempre più luminosa che potrebbe illuminare il buio che spaventa l’umanità. Papa Benedetto XVI ha spiegato con chiarezza le cause morali, culturali e di mancanza di fede che stanno alla base della crisi che attanaglia l’umanità, ma al tempo stesso sta indicando la via per uscirne. Una strada fatta di purificazione, di riscoperta e pratica delle virtù.
Benedetto XVI sa bene che non si tratta di una battaglia facile. Riaccendere e ravvivare la fiamma della fede nei cuori e nelle menti di popoli che sono vittime della secolarizzazione e che adorano gli idoli, non è affatto semplice. In molti casi la decadenza morale è avanzata e la resistenza al rinnovamento è caparbia. Ma il Pontefice non demorde, ed anzi incalza con argomentazioni sempre più profonde e ardite. Nell’omelia che ha pronunciato venerdì 11 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, presiedendo in piazza San Pietro la concelebrazione eucaristica con i Cardinali, i Vescovi e i presbiteri a conclusione dell’Anno sacerdotale, il Vescovo di Roma ha invitato a non avere paura perché: “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (Sal 23).
Per non precipitare, per non sperperare la vita nella mancanza di senso, il Papa ha chiesto di tornare ai Dieci comandamenti, attraverso i quali Dio ha indicato la via della vita. “Come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta”, ha aggiunto. Parlando della via buia che ogni persona umana deve attraversare il Pontefice ha fatto riferimento alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova. Secondo Benedetto XVI non bisogna mai disperare, perché “anche in queste valli tenebrose della vita il Signore è presente”. Per questo ha invocato “nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la Tua luce”.
Contro i nemici esterni alla Chiesa il Papa ha parlato del “pastore che ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino”. Per questo motivo ha affermato che “anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti”. Rivolgendosi ai nemici il Pontefice ha rilevato che “proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede”. Da notare che erano molti decenni che un Pontefice non pronunciava la parola eresia.
Per chiarire ulteriormente il suo pensiero il Papa Benedetto XVI, nell'omelia pronunciata domenica 20 giugno, ha precisato: “Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero”.
Quest’ultima parte dell’omelia del Papa dovrebbe ricordare ad ogni uomo politico che non è stato eletto per diventare membro di una casta, per gestirsi privilegi e potere, ma per servire il bene comune. Forse stiamo gridando al vento ma, essendo ottimisti, speriamo che siano in tenti coloro che prenderanno spunto dalle parole del Pontefice per purificare e rinnovare il modo e le finalità della vita pubblica.
fonte: L'Ottimista.com
E GiovannI Paolo II dove lo mettiam? Ingrati!!!
RispondiEliminaCaro Anonimo, l'articolo parla esplicitamente della figura dell'attuale Pontefice. Ne esalta la forza ed il coraggio mettendo in evidenza aspetti che i mass-media tendono ad insabbiare davanti all'opinione pubblica.
RispondiEliminaGiovanni Paolo II è stato un dono di Dio per la Chiesa e non leggo nell'articolo nulla che neghi questa realtà...