martedì 10 gennaio 2012

Negozi aperti, famiglie chiuse per lavoro.


















“Arbeit macht frei”. Il lavoro rende liberi.
Questa era la scritta di benvenuto assai menzognera posta all’ingresso di molti campi di concentramento nazisti. A leggere la notizia del provvedimento di Monti contenuto nella manovra “Salva Italia” che riguarda la liberalizzazione degli orari dei negozi, ci è venuta alla mente per un gioco di libere associazioni questa drammatica scritta (anzi è meglio definirlo drammatico epitaffio). Per quale motivo?
Il provvedimento, appena entrato in vigore, concede facoltà agli esercizi commerciali di decidere in piena autonomia gli orari di apertura e chiusura. Salta quindi il vincolo della mezza giornata di chiusura settimanale, e della chiusura alla domenica e nelle festività comandate. Il popolo italico esulta: il 78% dei nostri connazionali è favorevole (fonte Ipsos). Lo shopping diventa condizione esistenziale perenne.
Già in precedenza si potevano chiedere deroghe, ma da ieri il percorso è stato reso ancor più agevole. L’intento del governo è semplice: più si lavora, più si spende, meglio gira la ruota dell’economia. Il problema sta nel fatto che sotto questa ruota rimarranno schiacciate la persona e la famiglia.
Questo provvedimento è da bocciare per alcune motivazioni sia di carattere morale, che di natura psicologica-esistenziale, nonché sociale e - paradossalmente - anche economica.
“Arbeit macht frei”. Il lavoro rende liberi. Anche se questa scritta non fosse stata posta all’ingresso dei campi di concentramento nazisti con il chiaro intento di tranquillizzare e quindi ingannare i deportati, il contenuto della stessa rimarrebbe menzognero. E’ la verità, cioè Cristo, che ci rende liberi, non il lavoro come invece ha suggerito il barbuto Marx o prima di lui il proto-liberale John Locke. Questo non toglie che il lavoro può essere uno strumento per arrivare alla verità e quindi alla libertà, cioè se lo intendiamo e lo viviamo come mezzo per realizzare noi stessi e per santificarci. Ad esempio chi non lavora non ha i soldi per condurre un’esistenza dignitosa. Ma il lavoro diventa una schiavitù quando non è più inteso come mezzo ma come fine: lavorare per lavorare, oppure lavorare unicamente per far cassa, senza scopi ulteriori e più alti.
Il provvedimento di Monti costringerà i commercianti a lavorare sempre di più, anche di notte: il sole sul regno del libero mercato non tramonterà mai. La facoltà di tenere aperto o chiuso il negozio a proprio piacimento è una favola perché a dettare le regole nel libero mercato è la concorrenza. Se la grande distribuzione avrà mezzi e risorse per aperture non stop, i piccoli commercianti non potranno che cimentarsi – forse inutilmente – in un’estenuante maratona per tentare di fronteggiare la concorrenza dei mega-store. Dunque ecco che un provvedimento apparentemente liberale si mostra essere strumento per schiavizzare con il lavoro i commercianti.
L’inversione dei termini è disumanizzante: si vive per lavorare e non più, come si dovrebbe, si lavora per vivere. O, a specchio, come disse Gesù riferendosi al tempo del riposo: “Il sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato”. Il lavoro è in funzione della propria crescita personale, altrimenti si finisce per diventare una rotella di un meccanismo economico spersonalizzante. Insomma pensavamo che il taylorismo fosse finito ma con Monti pare che ci sia un pericoloso revival di questo fenomeno.
Il riposo è occasione per recuperare i propri tempi esistenziali, la quiete è ristoro per la psiche e l’anima. Non solo: il riposo è efficace prima di tutto per il lavoro stesso, perché permette di rinfocolare quelle energie interiori che consentono di rimetterci alla scrivania o al banco di lavoro con maggiore efficienza, maggior profitto ed inventiva. Anche Dio si riposò il settimo giorno. Forse che vogliamo essere migliori di lui?
Ma c’è un altro motivo per cui l’idea montiana è da rigettare. La domenica, le feste sono momenti dedicati a stare in famiglia. Nuovamente questa realtà sociale viene intesa dai politici in modo astratto: la famiglia semplicemente non esiste. In questi ultimi anni si stava assistendo ad una migrazione al contrario delle donne dal mondo del lavoro al focolare domestico, soprattutto chiedendo il part-time. Segno questo, tra i molti, che la famiglia è vocazione incardinata nell’intimo del cuore di ogni uomo. Ecco che invece, proprio come nei campi di concentramento, il papà e forse anche la mamma verranno deportati nei centri commerciali a lavorare, volenti o nolenti, anche alla domenica. I negozi rimarranno aperti e le famiglie chiuderanno non per ferie ma per lavoro.Inoltre questo provvedimento fa male per paradosso all’economia stessa. I sostenitori della proposta affermano che aumenteranno i posti di lavoro dato che gli orari si prolungheranno. A parte il fatto che anche se così fosse, ciò non giustificherebbe per i motivi sopra esposti la liberalizzazione degli orari, però viene da chiedersi perché l’Ascom, la Confesercenti e i sindacati sono sul piede di guerra. Se ci fossero nuove assunzioni e più affari per tutti perché protestare? Il timore nasce da queste considerazioni. Primo: molto probabilmente non si faranno nuove assunzioni, ma si tenterà di allungare l’orario dei dipendenti già assunti oppure turnare con maggior frequenza gli stessi. Insomma più lavoro per chi già lavora, meno lavoro per gli altri.
Ma ammesso e non concesso che invece ci saranno nuove assunzioni queste non compenseranno le perdite di posti lavoro conseguenti alla chiusura dei negozi che non reggeranno la concorrenza. Infatti le grandi reti di distribuzione potranno far fronte ad aperture prolungate, ma i piccoli esercenti molto probabilmente dovranno abbassare la serranda per sempre dato che non saranno in grado di farsi carico di nuove assunzioni. Questo anche a danno di una certa qualità dei prodotti e dei servizi tipici del negozio sotto casa dove, tra l’altro, il rapporto di fiducia tra cliente e commerciante è sicuramente un plus valore, introvabile nei centri commerciali.
Inoltre il panorama dei costumi delle nostre città cambierà in peggio. Una città che non dorme mai è una città schizofrenica e ansiogena, nervosa e snervante per i propri stessi cittadini, una città zombie, afflitta da un’insanabile insonnia per superaffaticamento. Parrà di vedere quella bufera infernale descritta da Dante nel V Canto che travolgeva le anime dannate e che non si arrestava mai.
Infine il lavoro notturno esporrà ad alcuni rischi i commercianti: con il favore delle tenebre aumenteranno di certo le rapine. Basta rammentare cosa accade negli States dove gli orari dei negozi hanno subito una deregulation ormai da tempo e i furti e le rapine notturne sono frequentissime.Insomma pare davvero che la lezione che ci stava impartendo questa crisi non è stata accolta nel profondo: è proprio la dimenticanza delle esigenze profonde dell’uomo che ha prodotto questa situazione economica difficile.
Per paradosso lavorare fino allo sfinimento conserverà gli italiani in uno stato di crisi: morale, esistenziale e spirituale.
di Tommaso Scandroglio
05-01-2012

1 commento:

  1. Quella del lavoro senza soste e del consumo per il consumo è una forzatura dei nostri tempi ed io credo che sia più che giusto porsi decisamente con la forza della nostra contrarietà. Mi piace trovare in questo blog le tracce di chi siamo e di chi desideriamo essere.

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