Il Serafico Padre fu davvero buonista, pacifista, ecumenista, filoislamico, ecologista, libertario e rivoluzionario?
di Domenico Bonvegna
Alla vigilia dell’incontro ad Assisi di tutte le religioni, appare opportuna una riflessione sull’identità di S. Francesco. “Lungo il XX secolo, infatti, – scrive Vignelli nella presentazione del libro San Francesco antimoderno (Ed. Fede & Cultura) – lo ‘spirito del tempo’ e le ideologie alla moda hanno gravemente deformato e strumentalizzato il nostro santo, sovrapponendogli una falsa immagine modernizzata: quella di un Francesco ‘buonista’, ‘pacifista’, ‘ecumenista’, ‘filoislamico’, ‘ecologista’, ‘libertario e rivoluzionario’” Non è la prima volta che nella Storia i santi ma anche la stessa figura di Nostro Signore Gesù Cristo vengono spogliati della vera luce e gloria della santità. Vengono usati come pretesto per parlare di altro, per insegnare un altro Vangelo e magari per favorire un progetto anticristiano. Forse il caso più grave di falsificazione è senz’altro toccato a S. Francesco di Assisi, figlio di Pietro di Bernardone e di Pica di Bourlemont. Un processo falsificatorio perseguito in campo cattolico, dai modernisti e infine oggi dai cosiddetti progressisti. In pratica si cerca di applicare alla “questione francescana”, “la modernistica contrapposizione tra il ‘Cristo della Storia’ e il ‘Cristo della fede’ e tra la ‘Chiesa primitiva’ e la ‘Chiesa istituzionale’”.
Secondo questa tesi il “Francesco della Storia” fu un personaggio che tentò di creare una fraternità di “spiriti liberi” che doveva permettere alla comunità cristiana di liberarsi dalle istituzioni ecclesiastiche, bisognava tornare al primitivo comunismo e realizzare una fratellanza globale e cosmica. In pratica scrive Vignelli,“lungo tutto il XX secolo, molti biografi o apologeti del santo l’hanno trasformato in un precursore delle ultime mode culturali: ossia del ‘buonismo’ insulso, del pacifismo arrendista, dell’ecumenismo relativista, dell’ecologismo animalista, della ‘teologia della liberazione’ e del tribalismo anarcoide”.
E’ una manovra che ormai è pienamente riuscita , così una falsità, se ripetuta in continuazione senza essere adeguatamente contrastata, finisce spesso con l’essere creduta come vera, almeno per pigrizia e conformismo. “E così – continua Vignelli- quella finta immagine , che all’inizio del secolo XX era diffusa solo fra protestanti e modernisti, è oggi diventata il ritratto ufficioso – se non proprio ufficiale – del santo, quale viene diffuso dalla maggioranza dei predicatori, storici e teologi cattolici, anche se francescani, anzi soprattutto se francescani”.
Una immagine diffusa soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa (romanzi, fumetti, musical, commedie, film e telefilm) i quali propinano alle folle un Francesco melenso e sentimentale, smidollato e idiota, scettico in campo dogmatico e permissivo in campo morale, ‘aperto al mondo’ ed ‘amico di tutti’. In conclusione ormai per la maggior parte dei cattolici, S. Francesco è un precursore del naturalismo, apostolo di una “carità” tutta umana e terrena, che prescinde dalla verità. Ma basta informarsi andare alle fonti storiche francescane e tutte le falsità spudorate saranno smentite.
Nel 1921 il Papa Benedetto XV già ammoniva: “Quel personaggio di Assisi, d’invenzione prettamente modernista, che recentemente alcuni ci presentano come poco rispettoso della Sede apostolica e come campione di un vago e vuoto ascetismo, non può essere identificato con Francesco né considerato come un santo”. E più avanti ammoniva: “Chi apprezza il valore del santo, deve apprezzarne anche l’ossequio e il culto dati a Dio; perciò o inizi ad imitare quello che loda, o smetta di lodare quello che non vuole imitare; chi ammira i meriti dei santi dei santi, deve anche segnalarsi per santità di vita”.
San Francesco non fu “buonista”. E’ la principale deformazione alla quale il santo è stato sottoposto. S. Francesco avrebbe inventato un nuovo modello di apostolato, quello di“mera ‘testimonianza’ propositiva, rifiutandosi di ricorrere non solo ad ogni tipo di polemica o condanna, ma anche d’imposizione o divieto”.
Il santo rifuggiva ogni compromesso e denunciava il male in concreto, predicava il timore di Dio e minacciava castighi infernali. Era molto severo nei confronti dei suoi stessi frati, intransigente nella disciplina religiosa.
San Francesco non fu pacifista. Per il mondo progressista cattolico, S. Francesco è il precursore del moderno pacifismo, promotore del disarmo unilaterale, dell’obiezione di coscienza “sia alle armi che alla pena di morte”.
Ma la pace che auspicava e predicava il Serafico era quella spirituale assicurata dalla conversione della creatura al Creatore. La pace francescana non è la pace che l’uomo trova in sé stesso, ma la pace che l’uomo trova in Dio. Secondo Vignelli, non risulta che Francesco abbia mai contestato il servizio militare. “Egli ben sapeva che combattere una guerra giusta non contraddice lo spirito caritatevole e pacifico del Cristianesimo(…)
Il santo amava presentarsi come un “soldato di Cristo” e un “araldo del gran Re”. La regola francescana intendeva proibire non la guerra come tale, ma solamente le guerre ingiuste.
S. Francesco non può essere arruolato al vile ed opportunistico arrendismo tipico degli odierni pacifisti fanatici, anche sedicenti cattolici, che si proclamano ‘adoratori della pace’ e promuovono marce a senso unico inalberando una multicolore ‘bandiera della pace’.
San Francesco non fu contro le Crociate. Non essendo pacifista, il Serafico non fu nemmeno contrario alle Crociate.
Risulta invece che Francesco provasse un sincero entusiasmo per le Crociate ed ammirazione per le cavalleresche imprese riferite dalla letteratura dell’epoca. S. Francesco partecipò alla quinta Crociata, quella proclamata nel 1213 da Papa Innocenzo III, per poter predicare ai musulmani ed assistere caritatevolmente i crociati nei pericoli fisici e soprattutto spirituali cui andavano incontro.
Francesco la chiamava “la santa impresa”, considerandola “pienamente lecita, valutandola come un intervento di legittima difesa militare di quei luoghi sacri e di quei popoli del vicino oriente un tempo cristianizzati dal sangue dei martiri e dal sudore dei confessori della fede”.
Del resto Francesco giustificò la Crociata proprio in faccia al sultano musulmano dell’Egitto. Ed è falsa quella tesi che sostengono alcuni che S. Francesco fece una scelta missionaria in opposizione a quella crociata. Era inconcepibile una contrapposizione tra Missione e Crociata.
“La vocazione del missionario e quella del crociato erano anzi considerate come apparentate, in quanto derivavano entrambe dalla comune prospettiva della cristiana testimonianza mediante il pellegrinaggio e la disposizione al martirio”. San Francesco non fu ecumenista. Nel suo Testamento, egli esige che i frati sospettati di eresia o scisma vengano imprigionati e consegnati al cardinale protettore dell’Ordine per essere inquisiti. I Papi del XIII secolo, per promuovere la Santa Romana Inquisizione contro l’eresia, ricorsero non solo all’Ordine domenicano, ma talvolta anche a quello francescano.
La frase consacrata dalla Tradizione: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”, era ben presente in Francesco. A questo proposito è attuale l’ammonizione di Pio XI: “ah quanto male fanno e quanto si allontanano dalla conoscenza dell’Assisiate coloro che, per accondiscendere alle proprie fantasie ed errori, s’immaginano e s’inventano – incredibile a dirsi! – un Francesco insofferente della disciplina della Chiesa, noncurante degli stessi dogmi della dottrina della fede, anzi precursore ed araldo di quella pluralistica e falsa libertà che si è cominciato ad esaltare agli albori dell’età moderna, e che tanto danno ha causato alla Chiesa ed alla società civile”.
San Francesco non fu filo-islamico. Giacomo da Vitry, amico del Serafico e testimone dei fatti, ha scritto che Francesco di fronte al sultano d’Egitto ha avuto un atteggiamento di perfezione apostolica. La sua predica riassume e riunisce “i tre elementi- chiave necessari per il trionfo del cristianesimo: rinnovamento morale e spirituale attraverso una vita di ascesi, di semplicità e di umiltà; (…)la predicazione, la propagazione della parola efficace, parola che infiamma le folle e le porta alla conversione; (…) il confronto (militare) con i saraceni, mirante a soccorrere la Chiesa orientale desolata che cerca la sua liberazione”.
San Francesco non fu ecologista. E’ la deformazione più recente. In pratica esagerando l’amore per le creature di S. Francesco, viene presentato come un profeta del moderno ecologismo dedito alla ‘salvaguardia del creato’, ma anche come un vegetariano o animalista.
Alcuni addirittura lo dipingono come una sorta di naturista, cioè uno che rinuncia ai beni materiali, alla civiltà, compresi i vestiti, fino ad arrivare a presentarlo come un contestatore hippy, in un promotore del tribalismo e magari anche del nudismo.
Il misticismo di S. Francesco non si può per nulla accostare alla perversa idolatria della natura tipica di chi venera Gea (o Gaia) al posto di Dio. Al contrario egli considerava la terra come una dimora provvisoria, per poi raggiungere la vera Patria celeste. Scrive il beato Tommaso da Celano, fin dalla sua conversione, “la bellezza dei campi e l’amenità dei vigneti, e tutte le altre cose che comunemente saziano gli occhi degli uomini, avevano perduto ogni attrattiva per lui. Non senza stupore egli si rese conto dell’improvviso cambiamento avvenuto in se stesso e cominciò a ritenere sommamente stolto chi si perde dietro simili cose”.
Anche nel celebre Cantico delle creature, poema tanto frainteso quanto celebrato, la bellezza delle creature sono viste in corrispondenza della bellezza suprema cioè di Dio. Scrive don Divo Barsotti: “(…) le creature sono poste al servizio dell’uomo;(…) se Dio è lodato con tutte le sue creature, è anche lodato per il dono di ogni creatura all’uomo(…). E’ il peccato dell’uomo che ha diviso e opposto Dio e la creazione”. In pratica S. Francesco considerava gli animali, i vegetali e i minerali non come idoli, “ma semplicemente come creature che, con la loro bellezza e col loro simbolismo naturale e soprannaturale, possono facilmente avviarci alla conoscenza e all’amore di Dio in Cristo”.
Gli animalisti non possono rivendicare S. Francesco come loro patrono, quasi ch’egli fosse come gli indù che considerano gli animali sacri e intoccabili. Non considerò mai gli animali suoi pari, ma volle esercitare su di loro una vera e propria autorità. Non possiamo nemmeno arruolarlo tra i vegetariani, S. Francesco non ha mai condannato il consumo delle carni o la caccia o l’impiego degli animali per aiutare l’uomo.
San Francesco non fu un libertario, non fu un ribelle, un agitatore libertario, un anarchico, un tribale, precursore di quell’irrazionale rifiuto della civiltà che si è recentemente espresso in fenomeni di patologia sociale sessantottina o post-sessantottina, come i “figli dei fiori”, gli hippy, i frak, i punk, gli ‘indiani metropolitani’ e i no-global.
Certamente le fonti storiche rivelano che se i frati minori avevano rinunciato ai beni terreni, non avevano per niente rifiutato quelli spirituali, i valori morali e sociali, tantomeno le conquiste della Civiltà cristiana. La “libertà e la letizia francescane sono il risultato – scrive Vignelli – di chi ha messo ordine nella propria anima e nella propria vita, con una rigorosa ed aspra ascesi, con una lotta contro gl’istinti che ci seducono, disorientano e schiavizzano, con una disciplina interiore ed esteriore capace di dominare le idee, tendenze e passioni disordinate”.
San Francesco non fu rivoluzionario. Sicuramente San Francesco non fu un antesignano della “teologia della liberazione”, non fu il precursore del pacifismo o il paladino della violenta rivolta degli “oppressi” contro il capitalismo. Non è un pauperista rivoluzionario, “come quei movimenti che contestano l’”ordine costituito” e combattono la proprietà privata e le conseguenti disuguaglianze sociali e gerarchiche politiche, sia ecclesiastiche che civili, nel tentativo d’imporre il collettivismo egualitario sognato dalle “comunità di base” latino-americane o afro-asiatiche”. Certamente S. Francesco non istigò mai alla ribellione ecclesiale, non volle mai contrapporre la propria confraternita alla gerarchia o al semplice clero, come se fosse una setta di puri ed eletti destinata ad animare una Ecclesia spiritualis destinata a sostituirsi alla Ecclesia carnalis. Egli piuttosto volle inserirsi nella Chiesa istituzionale con un ruolo di servizio e di collaborazione e soprattutto di supplenza riformatrice: “noi siamo mandati – diceva – in aiuto al clero, per la salvezza delle anime, in modo da supplire alle sue mancanze”. Non può essere definito rivoluzionario chi inizia la sua missione obbedendo al celebre comando del Crocifisso: “Va’ e restaura la mia casa!”. Francesco non istigò mai i poveri alla rivolta. “A differenza dei pauperisti eretici o eretizzanti come Valdo, egli non era ossessionato dal problema della povertà economica ma semmai da quello della povertà spirituale, tanto da ripetere spesso che bisogna preoccuparsi non della condizione terrena bensì del destino ultraterreno”.
Francesco esortò sempre gli sfortunati a pazientare dignitosamente e ad ubbidire docilmente, inculcando non la superbia dei diritti ma l’umiltà dei doveri. Egli non predicò nessun tipo di lotta di classe, anzi cercò sempre di garantire la concordia e l’armoniosa collaborazione fra signori e sudditi.
S. Francesco non ha mai messo in discussione l’autorità dei governanti, li esortava a giudicare i sudditi con onestà, prudenza e soprattutto con misericordia. Mentre sulla povertà, “lo spirito francescano non pretendeva d’imporre la povertà come regola sociale a chi non può o non vuole accettarla, ma esortava a dare l’esempio di un assoluto distacco dalle ricchezze per inspirare in tutti, ricchi e poveri, un soprannaturale disprezzo delle vanità terrene”.
Inoltre c’era in Francesco uno stretto legame tra elemosina e proprietà, non si può donare se non esiste la proprietà. San Francesco non fu egualitario, non aveva un animo invidioso, ribelle, anarchico. Il suo legame con la classe nobiliare può meravigliare chi è vittima del pregiudizio progressista, secondo il quale a seguire Francesco sarebbero stati poveracci, emarginati, ignoranti e magari deficienti. Vignelli affidandosi alle testimonianze di Tommaso da Celano e Giacomo da Vitry, fa un lungo elenco dei primi seguaci dell’Ordine dove spiccano rampolli di nobili e illustri famiglie italiane.
Ricorda Pio XI: “non solo pontefici, cardinali e vescovi (hanno ricevuto) le insegne del Terz’ordine, ma anche re e principi, alcuni dei quali elevati alla gloria della santità, che dallo spirito francescano vennero nutriti di divina sapienza; ne derivò che le più elette virtù tornarono ad essere stimate e vissute nella società civile, insomma rinnovando la faccia della terra”. Infine San Francesco non rifiutò la cultura.
E’ un ultimo pregiudizio, “il quale Francesco sarebbe stato un tipo bizzarro che avrebbe voluto raccogliere nella sua fraternitas solo uomini sempliciotti e ignoranti, se non proprio idioti e sciocchi…”. E’ una falsità grossolana, perché anche qui basta considerare come l’Ordine, fin dal suo inizio, accolse o formò alcune fra le migliori menti dell’epoca, naturalmente non c’è lo spazio per fare un elenco dettagliato. Molti erano docenti universitari, che per gli studenti dell’epoca, scrive Vignelli, “(…) doveva essere uno spettacolo edificante vedere quei loro docenti insegnare dalle cattedre delle prestigiose università di Oxford o della Sorbona, vestiti con un misero saio e a piedi nudi, per poi andare a svolgere umili lavori o a mendicare per la città…”
L’Italia, la stessa Europa, deve molto a S. Francesco, dal suo Ordine e Terz’Ordine germogliarono la pace domestica e la tranquillità pubblica, l’integrità dei costumi e la mansuetudine, il retto uso e tutela della proprietà, fattori tutti di civiltà e di benessere.
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