mercoledì 31 marzo 2010

Giovedì Santo



LETTURE: Es 12, 1-8. 11-14; Sal 115; 1Cor 11, 23-26; Gv 13, 1-15


Cristo sacerdote istituisce il sacramento dell'amore
L’istituzione dell’Eucaristia come rito memoriale della «nuova ed eterna alleanza» è certamente l’aspetto più evidente della celebrazione odierna che del resto giustifica la sua solennità proprio con un richiamo «storico» e figurativo dell’avvenimento compiuto nell’ultima cena. Ma è lo stesso messale romano che invita a meditare su altri due aspetti dei mistero di questo giorno: l’istituzione del sacerdozio ministeriale e il servizio fraterno della carità. Sacerdozio e carità sono, in effetti, strettamente collegati con il sacramento dell’Eucaristia, in quanto creano la comunione fraterna e indicano nel dono di sé e nei servizio il cammino della Chiesa.

Gesù lava i piedi ai suoi: è un gesto di amore
E’ significativo il fatto che Giovanni, nel riferire le ultime ore di Gesù con i suoi discepoli e nel raccogliere nei «discorsi dell’ultima cena» i temi fondamentali del suo vangelo, non riferisca i gesti rituali sui pane e sul vino come gli altri evangelisti: eppure era questo un dato antichissimo della tradizione, riportato in una forma ben definita dal primo documento che ne parla, la lettera di Paolo ai Corinzi (prima lettura). Giovanni richiama l’attenzione sul gesto di Gesù che lava i piedi ai suoi e lascia, come suo testamento di parola e di esempio, di fare altrettanto tra i fratelli. Non comanda di ripetere un rito, ma di fare come lui, cioè di rifare in ogni tempo e in ogni comunità gesti di servizio vicendevole — non standardizzati, ma sgorgati dall’inventiva di chi ama — attraverso i quali sia reso presente l’amore di Cristo per i suoi («li amò sino alla fine»). Ogni gesto di amore diventa così «sacramento», cioè visibilizzazione, incarnazione, linguaggio simbolico dell’unica realtà: l’amore del Padre in Cristo, l’amore in Cristo dei credenti.

Gesù dà se stesso in cibo: è il sacramento dell’amore
Il Giovedì santo, con il suo richiamo «anniversario» all’evento dell’ultima cena, pone al centro della memoria ecclesiale il segno dell’amore gratuito, totale e definitivo: Gesù è l’Agnello pasquale che porta a compimento il progetto di liberazione iniziato nel primo esodo (cf prima lettura); il suo donarsi nella morte è l’inizio di una presenza nuova e permanente; «il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (prefazio della ss. Eucaristia I). Partecipare consapevolmente all’Eucaristia, memoriale dei Sacrificio di Gesù, implica avere per il corpo ecclesiale di Cristo quel rispetto che si porta al suo corpo eucaristico. La presenza reale del Signore morto e risuscitato nel pane e nel vino su cui si pronuncia l’azione di grazie (cf seconda lettura), si estende, sia pure in altro modo, alla persona dei fratelli, specialmente dei più poveri (cf tutto il contesto della 1 Cor 11). «In questo grande mistero tu (o Padre) nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (prefazio della ss. Eucaristia II). Chi dunque fa discriminazioni, chi disprezza gli altri, chi mantiene le divisioni nella comunità «non riconosce il corpo del Signore». La sua non è più la Cena dei Signore, ma un rito vuoto che segna la sua condanna.

Il sacerdozio nasce dall’Eucaristia: è il dono per l’unità
All’interno della comunità, i rapporti reciproci sono valutati in chiave di servizio e non di potere, e trovano la loro più perfetta espressione nel momento dell’azione eucaristica. Chi «presiede» la comunità e ne è responsabile, presiede anche l’Eucaristia: la raccoglie nella preghiera comune, come la unisce nelle diverse attività della parola e dell’aiuto reciproco.
Il Concilio Vaticano II afferma: «I Presbiteri... ad immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti dei Nuovo Testamento... Esercitando, secondo la loro parte di autorità, l’ufficio di Cristo Pastore e Capo, raccolgono la famiglia di Dio, quale insieme di fratelli animati da un solo spirito, e per mezzo di Cristo nello Spirito li portano al Padre... » (LG 28). «Il senso ultimo del sacerdozio di Cristo e di ogni sacerdozio che da lui trae origine, è quello di essere modello per tutti coloro che offrendosi in lui, con lui, per lui in sacrificio a Dio gradito, mettono la loro vita a servizio dei fratelli.... Cristo e il suo mistero vive e perdura nella Chiesa; la Chiesa non fa altro che rendere attuale questo mistero di salvezza mediante la Parola, il Sacrificio, i Sacramenti, mentre riceve in sé per la forza dello Spirito Santo, la vita del suo Signore da testimoniare nel mondo... Da questa sacramentalità della Chiesa... scaturisce il significato essenziale della consacrazione-missione di quanti sono chiamati a predicare il Vangelo, a presiedere le azioni di culto e a svolgere un ruolo di guida del popolo di Dio» (Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Premesse, p. 12).

(fonte: Maranathà)



LA CRISI ATTUALE NELLA CHIESA

LA CRISI ATTUALE NELLA CHIESA: CHE COSA E’ ANDATO STORTO?

“I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti [..] Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza. [..] Vie sbagliate [..] hanno portato a conseguenze indiscutibilmente negative” (J. Ratzinger in V. Messori, Rapporto sulla fede, Ed. Paoline 1985, 27 s.)



Che esista una crisi nella Chiesa a partire dagli anni Sessanta del Novecento è sotto gli occhi di tutti e non staremo ad indugiare su questo crudele fatto, attestato dal crollo subitaneo e fortissimo di tutti gli indicatori, come vocazioni, percentuali di persone che si dicono cattoliche, pratica religiosa, accesso ai sacramenti, e così via: Giovanni Paolo II ha coniato in proposito l’espressione di apostasia silenziosa (Ecclesia in Europa, 9). Sono elementi, certo, quantitativi, ma ormai nessuno o quasi si azzarda più a sostenere la favoletta che in termini qualitativi vi sia stato progresso, dato che è difficile sostenere che siano migliori, più motivati e meglio formati, rispetto a ieri, i decimati frequentatori delle parrocchie, la cui età media tra l’altro è in costante aumento per assenza di trasmissione della fede ad ampi strati delle giovani generazioni.

La domanda che si pone spontanea è allora: vista l’oggettiva concomitanza temporale tra l’esplodere della crisi e la conclusione del Concilio Vaticano II, si deve ritenere quest’ultimo causa, ovviamente involontaria, di tanto disastro? Si può, in altri termini, applicare il principio, pur in logica fallace, post hoc ergo propter hoc? O dobbiamo invece ascrivere la frana ad elementi esogeni ed esterni, come la rivoluzione dei costumi degli anni Sessanta, il Sessantotto, il secolarismo o il marxismo, ecc., e magari cercare di perpetuare l’apologia del Concilio se non più (perché i dati impietosi e cocciuti rendono ormai risibili quelle definizioni) come nuova Pentecoste e primavera della Chiesa (già Paolo VI, in una famosa omelia, diceva che dopo il Concilio, anziché un giorno di sole, eran venuti tempesta, buio e incertezza), almeno come rimedio palliativo e “toppa” ad una tendenza antireligiosa che sarebbe stata ancora più devastante senza le aperture conciliari?

La questione è oggetto di studio in campo sociologico e si può ritenere che si sia giunti a conclusioni sufficientemente ferme e mature. Consigliamo vivamente di leggere in proposito il bellissimo contributo di uno dei più grandi sociologi delle religioni, Massimo Introvigne, «Il rumore confuso dei clamori ininterrotti», pubblicato dal sito Cesnur. Noi vogliamo in questa sede ripercorrere, in estrema sintesi divulgativa, le conclusioni di questo scritto, estratto di un più ampio lavoro.

In primo luogo, dobbiamo chiarire che non ha molto senso “fare il processo” al Concilio. Ce lo vieta innanzi tutto la Fede, che ci impone di vedere in quell’evento un segno dello Spirito Santo e della Provvidenza: su un piano ultramondano, il Concilio può avere prodotto benefici di grazia o forse ne produrrà nel lungo, anzi lunghissimo termine (ché in effetti in questo lasso di 40 anni è arduo scorgerne). Vengono alla mente le parole di S. Basilio dopo il Concilio di Nicea, richiamate dal Papa nel suo discorso alla curia romana del 22.12.2005: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …”. Eppure nessuno dubita dell’importanza e provvidenzialità del Concilio di Nicea, nonostante le sue immediate conseguenze negative, deplorate da S. Basilio. Ma più ancora, il Concilio Vaticano è qui fuori discussione poiché, come sempre il Papa ha osservato nell’allocuzione appena citata, di esso è stata data un’interpretazione di rottura che è lontanissima dalla verità e dall’effettività dei testi conciliari, che per inciso l’allora perito Ratzinger conosce bene. Quindi la nostra breve indagine è se non tanto il Concilio vero e proprio (i suoi documenti e l’evento in sé), bensì la sua percezione come momento di rottura e nuovo inizio, sia stato o meno la causa della crisi odierna della Chiesa; quanto al Concilio vero, essendo stato sopraffatto e sostituito da un’idea artefatta e modernista di esso, non può avere avuto efficienza causale proprio perché... mai messo veramente in pratica nei modi che i suoi stessi documenti richiedevano.

Orbene, al quesito che ci siamo posto la risposta dei sociologi è affermativa: causa della crisi del cattolicesimo è stato proprio il Concilio per come è stato recepito e percepito (non quindi, ripetiamo ancora, il Concilio in sé per come è, ma potremmo dire il Post-Concilio, la mentalità progressista ‘di rottura’ ispirata ad un abusivo Spirito del Concilio, che è divenuta maggioritaria negli anni immediatamente successivi al 1965).

Per giungere a tali conclusioni, gli studi citati da M. Introvigne si sono appuntati su dati statistici: ad esempio nel periodo 1965-1995 le vocazioni sacerdotali e quelle religiose femminili sono calate nei paesi nordeuropei e negli Usa in percentuali variabili tra il 50 e l’80 per cento; per contro in Spagna e Portogallo (che fino al 1975 furono soggetti a dittature di destra che si frapposero all’applicazione dell’aggiornamento postconciliare) il calo comincia solo dopo il ritorno alla democrazia e il recupero, da parte delle istanze ecclesiali iberiche, delle posizioni arretrate rispetto alle chiese più “avanzate” del resto d’Europa.

Allargando lo sguardo al di fuori del cattolicesimo, si nota inoltre come aumenti la diffusione delle religioni maggiormente integraliste e rigoriste, quali i pentecostali; senza considerare l’Islam, che conosce una spettacolare espansione in concomitanza con il ritorno a posizioni senza dubbio antemoderne (si pensi al velo femminile o all’applicazione della sharìa: pratiche quasi obsolete alcuni decenni fa, almeno nei centri urbani mediorentali, ed oggi sempre più all’ordine del giorno). Per contro le religioni più liberal, lassiste e ritenute “al passo coi tempi”, sono in gravissima crisi, anche peggiore del cattolicesimo: la chiesa luterana di Stato svedese, che da tempo prevede un rituale di benedizione di unioni omosessuali, conosce una pratica del 3%; la chiesa anglicana, poi, è sull’orlo del collasso e dello scisma per la questione dell’ordinazione di gay “in attività” oltreché, in misura minore, per l’ordinazione femminile: e anche qui è interessante notare la relativa maggior vitalità delle province anglicane africane, più rigoriste, rispetto all’ala più liberale rappresentata dagli episcopaliani americani, ridotti a poco più di due milioni (episcopaliano è il vescovo omosessuale Gene Robinson, divorziato dalla moglie e convivente con un uomo col quale si è da poco sposato civilmente, dichiarando di aver sempre sognato d’essere una june bride, qualcosa di analogo a una “sposa di maggio”: v. riferimenti qui).

Insomma: pare evidente che sussista una proporzione inversa tra le posizioni “moderne” e al passo coi tempi rispetto agli indicatori di vitalità di una religione. Ossia, in altri termini, se una fede è severa e rigorista, attira più fedeli. Eppure si sente spesso ripetere l’opinione secondo cui il Cattolicesimo perde colpi perché non è in sintonia col mondo attuale e mantiene posizioni anacronistiche e premoderne, soprattutto in tema di morale sessuale (si pensi alle tematiche del divorzio, dell’aborto, dei mezzi anticoncezionali, in cui effettivamente ben pochi, anche tra i cattolici dichiarati e praticanti, seguono fino in fondo il magistero). Come si spiega questa apparente contraddizione, che sembra manifestare una sorta di “masochismo” dei fedeli, contenti solo quando la loro religione li costringe a posizioni conflittuali con l’orientamento permissivo maggioritario della società?

A questo paradosso dà una spiegazione razionale la sociologia delle religioni. Mentre alcuni decenni fa si pensava che il successo di una religione dipendesse dalla mentalità dei fedeli, sicché in una società secolarizzata avrebbero retto meglio quelle religioni che agli imperativi della secolarizzazione, e quindi alle opinioni della gente, si fossero in qualche modo adattate o aggiornate, successivamente tale tesi, denominata vecchio paradigma, è stata superata e perfino rinnegata dal suo primo propugnatore (Harvey Cox, il quale la propose in un influentissimo testo del 1965 intitolato La città secolare, ma trent’anni dopo riconobbe l’infondatezza delle premesse sociologiche e fattuali su cui la sua tesi era fondata).

Si è scoperto infatti che, dal lato dei fedeli, la domanda di senso religioso resta sostanzialmente costante, mentre quel che cambia è, sul lato dell’offerta, quanto una Chiesa o religione organizzata è in grado di proporre (cosiddetto nuovo paradigma); ed è precisamente questo che determina la crescita o la crisi di una religione. Infatti nell’ultimo mezzo secolo non è diminuita globalmente la percentuale di persone credenti: semplicemente, molte hanno cambiato fede (alle perdite della Chiesa cattolica e delle denominazioni protestanti storiche, e ormai liberaleggianti, ha corrisposto non l’aumento di atei ma la speculare crescita di denominazioni più fondamentaliste come i pentecostali, gli evangelici, i Testimoni di Geova e i Mormoni). Se fosse invece vera la tesi del ‘vecchio paradigma’, tutte le religioni indistintamente avrebbero dovuto soffrire per la secolarizzazione, e semmai resistere con minori perdite proprio le religioni più aperte alle evoluzioni permissive della società.

Ma se queste constatazioni descrivono la situazione per come è, esse non individuano ancora il meccanismo per cui guadagnano le religioni che si pongono contro le tendenze generali della società. La spiegazione è nella teoria delle nicchie: la domanda religiosa si indirizza verso una di queste cinque ‘nicchie’, distinte a seconda del loro grado di conflittualità decrescente con la mentalità secolarizzata: ultra-rigorosa, rigorosa, centrale, progressista e ultra-progressista. La sociologia (stiamo sempre seguendo lo studio di M. Introvigne) ha verificato che la distribuzione dei fedeli nelle varie nicchie è diseguale: mentre nelle due nicchie estreme si collocano in pochissimi (quella ultra-rigorosa è di solito la nicchia di una nuova religione nel suo stadio iniziale, tendenzialmente ‘settario’), il grosso dei fedeli rientra nei due segmenti “rigoroso” e “centrale”. Relativamente pochi si collocano invece nella nicchia “progressista” e pochissimi, come detto, in quella ultra-progressista. Verrebbe allora da chiedersi come mai la società moderna sia così progressista e secolarizzata, allorché la corrispondente nicchia religiosa è poco frequentata: il fatto si spiega semplicemente perché i fautori di tale mentalità ‘moderna’ nella maggior parte dei casi sono del tutto a-religiosi e non rientrano perciò in alcuna delle nicchie elencate; sono i cosiddetti “laici” (ma sarebbe meglio dire laicisti), privi di affiliazione con qualsiasi chiesa e in genere molto influenti, anche se minoritari, nella società e nei “salotti buoni” dei mezzi di comunicazione, sì da poter determinare l’orientamento generale verso un sempre maggior secolarismo. E’ un dato di fatto inoltre che le nicchie progressista e ultra-progressista subiscono una continua erosione verso l’esterno, ossia molti di coloro che le componevano finiscono con l’abbandonare del tutto la dimensione religiosa ed escono dal “sistema delle nicchie” (si pensi ad esempio a quanti preti, laici e religiosi “impegnati” e progressisti hanno lasciato la Chiesa negli anni ’70 e ‘80). Evidentemente la domanda di senso religioso delle persone si accompagna maggioritariamente con la ricerca di una risposta totalizzante ed impegnativa, che renda la fede degna d’esser vissuta, e questo provoca l’affollamento delle nicchie rigorosa e centrale; invece chi si accontenta di un sistema religioso più lassista e con credenze più vaghe od ambigue (i cosiddetti cafeteria catholics, quelli intenti a scegliere nella religione solo quel che loro aggrada), è maggiormente esposto al rischio di cadere nell’indifferentismo e quindi alla fine nell’abbandono tout court della dimensione religiosa (con conseguente uscita dalle “nicchie”).

La conseguenza di queste constatazioni sociologiche è che una religione prospera finché la sua offerta di senso religioso è in grado di soddisfare i fedeli rientranti nelle nicchie rigorosa o centrale; entra in crisi se invece l’offerta diviene appetibile piuttosto per la nicchia progressista o, peggio ancora, per quella ultraprogressista.

Secondo una convincente ricostruzione sociologica, sempre riportata da M. Introvigne nello studio qui compendiato, la Chiesa cattolica subito prima del Concilio si collocava in un’area “rigorosa”, in movimento verso quella “centrale”. Il Concilio avrebbe voluto e dovuto completare tale evoluzione riformista portando la Chiesa nella nicchia centrale, che come si è visto è quella di maggior successo. Ma il problema è che il movimento è difficilissimo da governare e richiede una gradualità non di decenni, ma di secoli; il rischio è quello che, una volta messo in moto il processo, si verifichi, come già avvenuto in precedenza con altre denominazioni (anglicani, metodisti, presbiteriani), un’accelerazione, alimentata dalla mentalità secolare dominante, che porta irresistibilmente in direzione delle nicchie progressista e ultra-progressista. Ed è precisamente quanto accaduto col Postconcilio. In particolare i sociologi americani considerano come emblematici del superamento dei confini verso le fasce progressiste, due riforme particolarmente gravide di conseguenze, perché in grado di essere immediatamente percepite dalla gran massa dai fedeli (meno toccati, invece, da innovazioni più squisitamente dottrinali e quindi estranee alla percezione dei più): l’abbandono della liturgia in latino e l’abolizione dell’astinenza dalle carni il venerdì (quest’ultimo elemento, che a noi può sembrare molto secondario, è invece sempre stato un forte elemento identitario nei paesi non interamente cattolici; questo ci ricorda che si dice abbia fatto più, per la diffusione del movimento pitagorico nell’antichità, il divieto di mangiar fave, che tutte le teorie geometriche e numerologiche del grande Pitagora).

Ecco, quindi, la conclusione: qualcosa è andato veramente storto ed ha portato alla crisi attuale della Chiesa: non una presunta ritrosia nell’abbracciare i nuovi valori dominanti della società secolarizzata (come vogliono certe datate ricostruzioni, come quella della Scuola di Bologna di Alberigo, che rimproverano a Paolo VI di avere, specie con la Humanae Vitae sulla morale sessuale, contenuto e limitato l’anelito rinnovatore del Concilio), bensì tutt’al contrario “uno slittamento dell’offerta cattolica verso una nicchia del mercato, quella progressista, dove ci sono meno consumatori di beni religiosi”; e tutto questo non per effetto del Concilio in sé, sibbene di come è stato percepito ed applicato, ossia “precisamente come un mutamento dell’offerta inteso a diluire la specificità del cattolicesimo rispetto sia ad altre offerte religiose sia alla cultura dominante”.

(fonte: Messainlatino)

martedì 30 marzo 2010

Feto malformato: che fare?

Intervista al Prof. Giuseppe Noia, Ginecologo e professore universitario.

Claudia venne qui, da sola, nel 1992, a 18 settimane di gravidanza e mi disse:

- "Professor Noia, varie persone mi hanno fatto il suo nome, perchè lei mi può dire se questo bambino ha i reni o no." - "Va bene" - rispondo - "facciamo alcuni esami". E lei: "Fate tutto il necessario, perché io devo decidere". Fatti gli esami, il risultato era chiaro: - "I colleghi che l'hanno inviata da noi avevano ragione, la mancanza di tutti e due i reni è confermata". E lei: " Che sarà di questo bambino?". - "Crescerà dentro di lei, lei si legherà a lui col suo amore, ma il bambino, non avendo la possibilità di urinare, non svilupperà il sistema che porta alla maturazione dei polmoni. Come conseguenza, dopo la nascita il bambino vivrà solo alcune ore". Claudia: "Allora, se è così, vado a fare l'aborto volontario".
Ribatto: "La legge 194 mi permette di fare un'opera di dissuasione, per cui le vorrei offrire un'opzione diversa, soprattutto dal punto di vista medico- psicologico". - "In che senso?". - "Ha mai sentito parlare della sindrome post-abortiva? È una sindrome grave che colpisce le donne che scelgono l'interruzione di gravidanza". - "E allora cosa mi propone?". - "Le propongo di accompagnare il bambino". - "Ma cosa significa?". - "Lei fa le cose che fanno tutte le altre mamme, le visite, i controlli, gli esami". Lei: "Ma si rende conto di quello che mi chiede?. Lei mi propone di accompagnare una creatura a cui io mi legherò moltissimo, pur sapendo che la perderò... È una cosa sovrumana". - "Non è sovrumana, anzi è estremamente umana. Se per esempio venisse un ematologo e le dicesse che purtroppo il suo bambino di tre anni è inguaribile e tra qualche mese morirà, lei lo curerebbe e accompagnerebbe, non è vero?". Claudia: "Ma in quel caso...." Io: "Cosa cambia se ha tre anni o tre mesi?". Lei: "Vorrei evitare che questo bambino soffra". Io: "La prima sofferenza è quella di togliergli la vita. Ma soprattutto di togliergli l'amore, perché lei soffrirà se accompagna il bambino, ma soffrirà in modo molto maggiore se lo uccide. Con la differenza che nel primo caso lei soffre accompagnandolo, ma poi il dolore si stempera nella consapevolezza di aver amato suo figlio fino alla fine, e questo le farà un bene che non può immaginare. Ricordi che le parlo in nome di esperienze che ho conosciuto personalmente. Nell'altro caso, lei avrà distrutto suo figlio, il suo progetto, sarà quasi come una separazione da una parte di sé stessa, per questo poi arriva la depressione". Claudia: "No, non ce la faccio. Non ce la faccio". E se ne va a fare l'interruzione.
Si ripresenta dopo nove anni: - "Si ricorda di me?". - "Il viso credo di sì, ma noi vediamo centinaia di persone a settimana...". Claudia: "Sono quella donna che anni fa se ne andò un po' irritata con lei perché, per il caso di genesia renale della mia bambina, mi propose l'accompagnamento invece dell'aborto. Me ne andai irritata perché mi sembrava, inizialmente, che lei volesse coartare la mia scelta di autodeterminazione come donna, impedendomi di scegliere in libertà, per una vita in fondo inutile e che avrebbe avuto gravi sofferenze".
- "Innanzitutto qui non si obbliga nessuno, si propone, tanto è vero che lei poi ha fatto l'interruzione di gravidanza, è stata una scelta sua. Ho voluto evidenziare i danni, non solo dal punto di vista etico, che magari tengo per me, ma anche dal punto di vista scientifico-psicologico". - "E aveva ragione". Allora mi fermo. Era partita quasi attaccando... - "Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa la sindrome post-abortiva. Ci ho messo nove anni per ripetere una gravidanza. E ogni volta che ci riprovavo ripensavo a quella bambina che avevo ucciso e mi bloccavo. Ho avuto anche un aborto spontaneo - il rifiuto psicologico, il sentirsi inadeguata da parte della madre può produrre aborti spontanei -, ma adesso sono di nuovo incinta". - "Va bé, lasci stare il passato signora e stia serena, senza arrovellarsi. So che lei soffre soprattutto per non sapere dov'è la sua bambina e per non avergli potuto dare un nome".
- "Le due domande che mi faccio sono come sarebbe stata e dov'è adesso". - "Signora, la sua bambina è nel suo cuore, starà sempre con lei". Ma lei ribatte: "Sì, ma adesso sono incinta e ho di nuovo una bambina senza reni". Seguono due lunghissimi minuti di silenzio. Claudia percepisce il mio stato di disagio. - "Professore, lei ha parlato nove anni fa, adesso parlo io. Il mio pregiudizio culturale mi ha fatto rifiutare una proposta eticamente e medicalmente corretta. Pensavo che lei non parlasse come medico, ma come cattolico, per propormi la sua visione della vita e togliermi libertà e autodeterminazione. Niente di più falso. Lei parlava in maniera corretta, sia su base giuridica che su base medica. E questo mio errore l'ho pagato sulla mia pelle. Ma adesso non voglio sbagliare di nuovo, voglio accompagnare la mia bambina. Però ad una condizione: che sia lei ad accompagnare tutti e due". - "Signora, qui io sono proprio l'accompagnatore ufficiale".
Ridiamo un po' per stemperare la tensione. - "Professore, voglio venire al suo studio privato, però". - "Signora, stia tranquilla, la tratterò ugualmente bene anche qui, solo che non paga".
- "Non mi interessa il problema di pagare. Al suo studio c'è più privacy". - "Allora mi permetta di non farla pagare anche se viene allo studio". - "Professore, lei non ha capito niente; io alla mia bambina devo dare tutta la dignità che le avrei dato se avesse avuto i reni. Quindi voglio venire a fare le visite, pagare le ecografie, tutto quello che c'è da fare normalmente. Perché se non dò io a mia figlia senza reni la dignità che le spetta come essere umano, in questo mondo di morte chi vuole che gliela dia?". Ammutolisco. Nei mesi successivi Claudia viene allo studio, fa tutte le visite, partorisce Alice, che dopo quattro ore vola in cielo. - "Professore, devo ringraziarla per aver accompagnato me e la mia bambina, proprio come volevo. Sono tornata da lei grazie alla mia bambina precedente, che mi ha guarito il cuore. Soprattutto, professore, la voglio ringraziare perché aiutandomi ad accompagnare Alice in questi nove mesi mi ha permesso di riscattare nove anni della mia vita". Claudia, molto serena, ha già il desiderio di iniziare una terza storia, per cui la avviso che prima è necessario fare una valutazione genetica della probabilità che si ripeta il problema. Scopriamo che la probabilità è del 25 per cento. Tempo dopo nasce Sofia, che sta benissimo.

Per informazioni
sul centro di Aiuto
per il Feto Terminale:






lunedì 29 marzo 2010

Pregare davanti alla Croce


Pregate il più possibile prima di Pasqua.
In questa settimana pregate tutti i giorni
due ore davanti alla croce.

(28/03/88 -Maria a Medjugorje)
Preghiera a Gesù Crocifisso
Eccomi o mio amato e Buon Gesù: alla Santissima Tua presenza, prostrato, Ti prego col fevore più vivo di stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offernderTi mentre io con tutto l'amore e con tutta la compassione vado considerando le Tue cinque piaghe, cominciando da ciò che disse di Te, o Buon Gesù, il santo profeta Davide: "Trapassarono le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa!".
Io Ti adoro, o Croce Santa, che con le venerabili membra di Nostro Signore Gesù Cristo, fosti adorna ed aspersa del Suo preziosissimo Sangue. Adoro Te, mio Dio, posto in essa e te o Croce Santa per amore Suo.
Amen.
* * *






(Preghiera di recitata da San Francesco di Assisi)


Rapisca, ti prego, o Signore,
l’adente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose
che' sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato
morire per amore dell'amore mio.

domenica 28 marzo 2010

Domenica delle palme




Domenica delle Palme.
Gesù mi ha fatto conoscere quanto ha sofferto durante quel corteo trionfale.
Agli "Osanna" facevano eco nel cuore di Gesù i "Crucifige".
Santa Faustina (Q.III,1028)


Mentre il Cristo entrava nella città santa, la folla degli Ebrei, prannunziando la risurrezione del Signore della vita, agitava rami di palma e acclamava: Osanna nell'alto dei Cieli. Quando fu annunziato che Gesù veniva a Gerusalemme, il popolo uscì per andargli inontro; agitava rami di palma e acclamava: Osanna nell'alto dei Cieli.




Con la Domenica delle Palme o più propriamente Domenica della Passione del Signore, inizia la solenne annuale celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione.
La Domenica delle Palme giunge quasi a conclusione del lungo periodo quaresimale, iniziato con il Mercoledì delle Ceneri e che per cinque liturgie domenicali, ha preparato la comunità dei cristiani, nella riflessione e penitenza, agli eventi drammatici della Settimana Santa, con la speranza e certezza della successiva Risurrezione di Cristo, vincitore della morte e del peccato, Salvatore del mondo e di ogni singola anima.
I Vangeli narrano che giunto Gesù con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme (era la sera del sabato), mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina legata con un puledro e condurli da lui; se qualcuno avesse obiettato, avrebbero dovuto dire che il Signore ne aveva bisogno, ma sarebbero stati rimandati subito.
Dice il Vangelo di Matteo (21, 1-11) che questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9, 9) “Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”.
I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme.
Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!”.
A questa festa che metteva in grande agitazione la città, partecipavano come in tutte le manifestazioni di gioia di questo mondo, i tanti fanciulli che correvano avanti al piccolo corteo agitando i rami, rispondendo a quanti domandavano “Chi è costui?”, “Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea”.
La maggiore considerazione che si ricava dal testo evangelico, è che Gesù fa il suo ingresso a Gerusalemme, sede del potere civile e religioso in Palestina, acclamato come solo ai re si faceva, a cavalcioni di un’asina.
Bisogna dire che nel Medio Oriente antico e di conseguenza nella Bibbia, la cavalcatura dei re, prettamente guerrieri, era il cavallo, animale nobile e considerato un’arma potente per la guerra, tanto è vero che non c’erano corse di cavalli e non venivano utilizzati nemmeno per i lavori dei campi.
Logicamente anche il Messia, come se lo aspettavano gli ebrei, cioè un liberatore, avrebbe dovuto cavalcare un cavallo, ma Gesù come profetizzato da Zaccaria, sceglie un’asina, animale umile e servizievole, sempre a fianco della gente pacifica e lavoratrice, del resto l’asino è presente nella vita di Gesù sin dalla nascita, nella stalla di Betlemme e nella fuga in Egitto della famigliola in pericolo.
Quindi Gesù risponde a quanti volevano considerarlo un re sul modello di Davide, che egli è un re privo di ogni forma esteriore di potere, armato solo dei segni della pace e del perdono, a partire dalla cavalcatura che non è un cavallo simbolo della forza e del potere sin dai tempi dei faraoni.

sabato 27 marzo 2010

Ma da che pulpito!


11 marzo 2010 Corriere della Sera

Pedofilia: il Vaticano sembra il solo a fare notizia
di Vittorio Messori



Mi si scuserà se prendo spunto dall’esperienza personale. Credo che possa aggiungere un piccolo tassello al mosaico oscuro del sesso degli adulti con i minori. Oscuro per noi, oggi: non pochi di coloro che si atteggiano a inflessibili moralizzatori, furono apostoli attivi della sessantottarda “liberazione sessuale“.

Per coloro che non vissero quei tempi , sarà sorprendente un carotaggio tra tanti, troppi testi degli anni Settanta. Libertà di sesso, per chiunque e con chiunque! Bambini compresi, anzi questi per primi, per educarli da subito a una prospettiva “non repressiva“, a un “eros liberato“. Tra questi difensori –ma solo oggi, va ripetuto– del rispetto per i piccoli, molti sono coloro per i quali non vale, non deve valere, il rispetto per i più piccoli ancora. Guai, dunque a chi tocca i bambini già nati. Ma guai anche a chi volesse difendere i bambini non ancora nati; e difenderli non da molestie, ma dalla estirpazione violenta dall’utero. Un certo sdegno liberal non è eguale per tutti: infanzia protetta, certo, ma solo quella scampata all’ecatombe.

Veniamo allora alla piccola, ma forse significativa, esperienza personale.Terminata l’università e in attesa di un varco per infilarmi in qualche giornale o casa editrice, sentii parlare di una possibilità di lavoro temporaneo come assistente –qualcosa a metà tra il sorvegliante e il tutor– in collegi che praticavano ancora l’internato. Feci domanda ad alcuni di essi (tutti laici, va precisato, nessuno religioso) e fui convocato per colloqui e per una prima esperienza. Parlando con coloro che avrebbero potuto divenire colleghi, sentii talvolta discorsi che non capivo: lo stipendio era esiguo, il lavoro impegnativo ma, in cambio, c’erano vantaggi, c’erano benefit riservati che compensavano i sacrifici . Compresi solo quando, in un collegio per i virgulti di ricchi borghesi, un cinquantenne mi disse, strizzando l’occhio: “Vieni, non esitare! Sai, di giorno si lavora molto ma, di notte, le nostre stanze sono accanto a quelle dei ragazzi…”. Abituato, nottetempo, a un altro genere di frequentazioni, cambiai direzione alla mia ricerca di un lavoro, seppur temporaneo. Passarono gli anni e, come inviato di un quotidiano, visitai molti manicomi in procinto di chiusura per la legge Basaglia. In molti istituti non ci si curava neanche di nascondere che le ricoverate – e i ricoverati – minorenni, erano un “bottino“ tanto appetito da scatenare lotte accanite tra medici e paramedici. I sindacalisti tacevano: anzi, mi dissero in una di quelle case, si erano riservati un diritto di prelazione sugli imberbi. Ma poiché la vita è lunga e gli incontri tanti, non ho dimenticato quello con un capitano di mare che –ridendo, a tavola, un po’ alticcio– mi raccontava della sorte, secondo lui divertente, che toccava, e tocca, ai quindicenni imbarcati come mozzi nelle infinite navi di ogni bandiera che solcano i mari.

Sono solo piccole postille a quanto detto l’altro giorno dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi: “Certamente quanto compiuto in certi ambienti religiosi è particolarmente riprovevole, data la responsabilità educativa e morale degli uomini di Chiesa. Ma chi è obiettivo e informato sa che la questione è molto più ampia e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva“. Padre Lombardi ha citato l’inchiesta svolta in Austria dal governo: “Diciassette casi di molestie o violenze ascrivibili a religiosi cattolici, 510 in altri ambienti. Non sarebbe giusto, innanzitutto per le vittime, che ci si occupasse almeno un poco anche di loro?“. In America, nella nebulosa delle innumerevoli chiese, chiesuole, sette, comunità religiose non ve ne è alcuna che non debba affrontare denunce di fedeli, maschi e femmine, per le attenzioni riprovevoli di ministri del culto. Neanche le istituzioni della vasta e variegata comunità ebraica americana sono esenti dal dilagare del contagio. Preti, pastori, rabbini si ritrovano spesso insieme nelle aule dei tribunali. E altrettanto avviene per tanti che lavorano negli ambienti più laici e più lontani da prospettive religiose, come ho ricordato.

Eppure, solo la Chiesa cattolica sembra fare notizia. Ma a ben pensarci, un simile “privilegio“ non dovrebbe dispiacere a un credente. Chi si sdegna per la malefatte di un prete, più che per quelle di chiunque altro, è perché lo lega a un ideale eccelso che è stato tradito. Chi considera più gravi le colpe “romane“, rispetto a ogni altra, è perché vengono da una Chiesa da cui ben altro si aspettava. Molte invettive anticlericali sono in realtà proteste deluse. E’ scomodo, per i cattolici, che il bersaglio privilegiato sia sempre e solo “il Vaticano“. Ma chi denuncia indignato le bassezze, è perché misura l’altezza del messaggio che da lì viene annunciato al mondo e che, credenti o no che si sia, non si vorrebbe infangato.

© Corriere della Sera

venerdì 26 marzo 2010

La frenesia livida di sporcare piegare e colpire


Questa feroce «onda mediatica»

Non è vero che la Congregazione per la dottrina della fede, negli anni in cui era guidata da Joseph Ratzinger, insabbiò il procedimento canonico a carico di Lawrence Murphy, il sacerdote americano colpevole di abusi su dei bambini sordi. Chi legga i documenti pubblicati dal New York Times a sostegno di questa accusa scopre che in realtà solo i vertici della Chiesa americana insistettero a indagare su fatti, che erano stati archiviati dalla giustizia civile.

È vero invece che la terribile vicenda delle 29 denunce contestate a padre Murphy – e risalenti ad abusi avvenuti tra il 1950 e il 1974 – arrivò alla Congregazione solo nel 1998, quando l’ ormai anziano sacerdote scrisse a Ratzinger chiedendo l’interruzione del processo anche a causa delle sue gravi condizioni di salute. Tuttavia l’allora segretario della Congregazione, Tarcisio Bertone, rispose ordinando che si procedesse secondo le misure previste dal canone 1341 «per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia». Il prete accusato morì quattro mesi dopo.

Della realtà sulla denuncia del New York Times riferiamo a pagina 5. Ma un simile attacco (il secondo in pochi giorni) sulla prima pagina di uno dei più autorevoli quotidiani americani è una cosa che fa pensare. È un piegare quasi con la forza i fatti a una tesi che sembra precostituita e ordinata a uno scopo preciso: attaccare, nella persona del Papa, la Chiesa. Con una determinazione e una tendenziosità che lascia sbalorditi. Le accuse contro quel sacerdote americano sono terribili, ma dopo la prima denuncia il prete venne allontanato e da allora visse ritirato. La giustizia civile lasciò perdere. Da Roma invece, 24 anni dopo l’accaduto, non si consentì alla richiesta di cancellare la vicenda. Chi è l’insabbiatore dunque?

La sproporzione fra le accuse e la realtà è troppa per non vedere la volontà di addossare alla Chiesa l’immagine di una sorta di "cupola" opaca, che sa e non vede, che è informata e finge di ignorare. Quasi come se la dolorosa e limpida lettera di Benedetto XVI ai cattolici d’Irlanda, ammettendo le colpe di alcuni sacerdoti e le mancanze di una Chiesa locale, avesse risvegliato un rancore inespresso ma aspro, un’ansia di lanciare accuse gravi e non provate contro la Chiesa tutta, e il Papa per primo. C’è un sentore quasi di voglia di lapidazione in certi titoli forzati, sparati e subito ripresi da altre testate: come quando tra bande di ragazzi si decide all’improvviso che "quello" è il nemico, e insieme lo si attacca.

Perché? Noi non sappiamo di complotti. Abbiamo invece il dubbio di trovarci di fronte a una di quelle onde mediatiche che a volte traversano l’informazione: gli episodi di pedofilia in Irlanda, denunciati dallo stesso Benedetto con una accorata richiesta di verità e giustizia, usati come anello di una catena che va a cercare singoli episodi, ora veri ora dubbi, ora vecchi di trenta o cinquant’anni, in cui gli accusati spesso sono morti; e serra l’uno all’altro gli anelli, fino a farne una catena vera, da prigionieri, che mette addosso ai sacerdoti cattolici, tutti, alla Chiesa, tutta.
Di "onde mediatiche" se ne creano spesso, come se i media amplificassero se stessi in un gioco incontrollabile di echi. Ma questa volta si avverte in alcuni almeno una frenesia strana di lanciare il sasso, di sporcare, di insinuare che, in realtà, coloro agiscono nel nome di Cristo sono poi uguali a noi, e anzi molto peggiori. Il che talvolta tragicamente può essere vero. Ma non cambia la essenza della Chiesa, il suo essere corpo di Cristo, pure fatto di uomini peccatori.

Che strana, livida voglia di fango emerge da certi titoli, dalla realtà piegata e costretta nei propri disegni. Viene in mente l’Eliot dei Cori da «La Rocca», viene in mente quella Straniera che non è amata dagli uomini – perché è «la Testimone»: «Colei che ricorda la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare».

La Chiesa, che ancora pretende di affermare che esiste un Bene, e un Male. Che questo dia fastidio? Sembra diretto ai nostri giorni la profezia di Eliot, siamo noi, forse, «gli uomini che deridono/ tutto ciò che è stato fatto di buono».

Marina Corradi
Copyright 2010 © Avvenire
Approfondimenti: Ecco come è andata veramente (Avvenire 26/03/2010)

giovedì 25 marzo 2010

Cosa c'è dietro la cosidetta "omofobia"?



Riguardo alle critiche condotte dall'Onu al nostro Parlamento, se l'Onu fosse oggi un'Organizzazione seria delle Nazioni e non degli omosessuali di tutto il mondo, si occuperebbe di cose ben più serie che della presunta "omofobia" , termine il quale non ha affatto il significato che gli si vuol dare, derivando il prefisso "omo" dal greco, che vuol dire di identico genere (come in "omogeneo"), e non come "omosessuale", che vuol dire "dello stesso sesso", senza particolari aspetti. Sicché "omofobia" significa semplicemente "paura verso il proprio genere", esattamente il contrario di ciò che si sostiene. Un linguaggio, se vuol essere epistemologicamente corretto nel contenuto e nella forma, dovrebbe avere sempre un chiaro e preciso significato, non ambiguo o distorto. Segnalo altresì che, per un celebre sessuologo degli anni Sessanta (Engelstein) il termine "omofobìa" sarebbe significato, un tantino più correttamente, "paura di diventare omosessuale" o "desiderio incoscio di diventarlo". "Fobìa" è "paura"; "misìa" è "odio" (come in "misantropo", "misogeno", "misogallo" ecc.). Dunque, l'Onu e i suoi imitatori non conoscono l'uso linguistico-scientifico di termini derivati dal greco, per cui la forma più giusta sarebbe "omosessuomisìa" e non "omofobia" che non significa nulla .
Tralasciando ora le questioni linguistiche e venendo al merito, ogni legge che tuteli qualcosa che, per il costume sessuale generale, è deprecabile, finisce per accentuare ciò che pretende di combattere. L'impressione è che gli idioti che vogliono arrivare ad una legge di tutela dell'omosessualità, abbiano in realtà il progetto di non considerare "democratico", se non chi accetti di buon grado di avere e godere rapporti omosessuali, visto che tanto si spinge in questo senso, come se la "democrazia" significasse promiscuità e molteplicità di tipologie nel rapporto sessuale (il tutto deriva dalla celebre Relazione Kinsey, diffusa in Italia negli anni '60: salvo la necrofilia, per Kinsey, biologo e non sessuologo, va bene tutto, non solo l'omosessualità, ma anche la zoofilia e la pedofilia). L'omosessualità non è che uno stadio infantile o preadolescenziale (questo, ove non sia semplice cattiva abitudine sessuale, ma tendenza psichica) del rapporto sessuale, quando l'obiettivo non è ancora ben delineato ed indirizzato, per cui vi è attrazione anche verso il proprio sesso, come appunto può accadere nei ragazzini e nei preadolescenti, che sentono vagamente i primi stimoli sessuali. L'omosessuale non è un ammalato, anzi a suo modo è sanissimo. Sul piano fisiologico non c'è nulla che lo disturbi, ma il suo cervello ed il sistema nervoso, evidentemente, non si caratterizzano in una piena maturità sessuale, di qui le sue tendenze affettive. Di questo infantilismo, vagamente buffonesco, sono prova il travestitismo, l'atteggiamento imitativo, il tono in falsetto (o, viceversa, virileggiante nella donna) della voce, il gusto carnevalesco, largamente manifestati nei vari "gay prides" .
Il voler esaltare simili situazioni che, entro certi limiti, sono inevitabili, ma non certo motivo d'orgoglio e di fierezza, ben lungi dall'aumentare il grado di tolleranza degli eterosessuali nei confronti degli omosessuali, rischia di aumentare il livello di disprezzo, d'odio e anche di violenza fisica come sta avvenendo. Se avessimo nel mondo governi degni di rispetto, e non gruppi di cialtroni che pensano solo ai loro sporchi affari, non si dovrebbero avere norme speciali, né repressive, né apologetiche verso l'omosessualità, ma piuttosto uno studio accurato su ciò che rientra in una condizione "fisiologica" e ciò che rientra in una situazione patologica dello stato psichico di questi: in sostanza, se si tratta di disfunzioni ormonali, di cattive abitudini acquisite nella preadolescenza, di incapacità di rapporti maturi col proprio e con l'altrui sesso, senza vedere in tutto questo un arbitrio morale che, se così fosse, dovrebbe allora essere esteso a tutte le altre deviazioni sessuali.

(Fonte: prof. Manlio Tummolo, Comitato verità e vita, 15 ottobre 2009)


25 Marzo - Annunciazione del Signore


Il Verbo Incarnato, completamente consapevole fin dal primo momento della sua incarnazione, scelse di vivere all’interno di una creatura. Per sua scelta visse all’interno di questo tempio e di questo palazzo, in misteriosa relazione con Nostra Signora.
Dio manifesta la sua onnipotenza nell’Incarnazione. La manifesta anche mantenendo vergine la Madonna prima, durante e dopo il parto. L’Incarnazione è un evento così straordinario che Dio avrebbe potuto disporre perché Nostro Signore nascesse pochi giorni dopo il concepimento. Ma non lo fece. Il Signore scelse di vivere per nove mesi nel seno di Maria. Volle stabilire questa forma speciale di dipendenza da lei. Scelse di avere con lei questa profonda e misteriosa relazione dell’anima. San Luigi Maria dice che scelse di diventare suo “schiavo”: un’espressione centrale in tutta la teologia mariana del santo, che può lasciarci perplessi specialmente se la riferiamo a Gesù Cristo ma che per il santo è essenziale e che dobbiamo comprendere a fondo. Schiavo? Sì. Anzi, uno schiavo ha la sua vita, respira da solo, ha almeno libertà di movimento. Gesù volle farsi più che schiavo: accettò di dipendere interamente da Nostra Signora.
Che tipo di relazione fra le anime di Gesù e della Madonna si stabilì in quel periodo? Che tipo di unione? Di per sé, il mistero è impenetrabile. Ma, almeno per avere un punto di partenza, possiamo considerare che nel mistero dell’Incarnazione Nostro Signore assume interamente la natura umana. Vero Dio, diventa anche vero uomo. Ha un’anima e un corpo come li abbiamo noi. Nella sua umanità discende da Adamo ed Eva come noi. Ma nello stesso tempo la sua anima umana aveva – anzi ha – un’unione con Dio così stretta che Gesù Cristo è e resta una persona della Santissima Trinità. C’è una sola persona di Cristo, non due, anche dopo l’Incarnazione. Com’è possible tutto questo? È un mistero. I teologi si diffondono sulla nozione di unione ipostatica, ma non sciolgono veramente il mistero.
Considerando la sua natura divina e umana, come spiegare il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. In quel momento certamente Gesù continuava a essere Dio, eppure aveva scelto di soffrire nella sua umanità un abbandono e un isolamento totale. Si sentiva completamente abbandonato nella sua umanità mentre rimaneva unito a Dio Padre e allo Spirito Santo nella sua divinità. Di nuovo, non possiamo spiegare tutto: è un mistero.


Sappiamo che ogni giorno di festa della Chiesa porta con sé una grazia speciale. Nella giornata di oggi la prima misteriosa unione di Nostro Signore con Nostra Signore viene a noi, per così dire, con un profumo speciale.
Dobbiamo affidarci con speciale forza alla Madonna in questo giorno di festa, e chiederLe la grazia di diventare i suoi umili soggetti e “schiavi”, come fece lo stesso Bambino Gesù quando viveva nel suo seno.
(fonte: Santi e Beati)

martedì 23 marzo 2010

Valori non Negoziabili


Nella sua prolusione al Consiglio permanente dei vescovi, il Cardinale Bagnasco ha definito l'aborto un "delitto incommensurabile".

Ha ricordato i "dati agghiaccianti" riportati del rapporto predisposto dall'Istituto per le politiche familiari secondo cui quasi 3 milioni di bambini non sono nati nel 2008. E quindi, sottolineando che la difesa della vita e il NO all'aborto fanno parte di quella piattaforma di valori "non negoziabili" che la Chiesa non può disattendere, ha auspicato che la gente voti di conseguenza.

Ridurre a ingerenza o interferenza clericale tali affermazioni non tiene conto che è su questi fondamenti che si impiantano e vengono garantiti tutti gli altri indispensabili valori sociali come il diritto al lavoro e alla casa, la libertà dalla malavita organizzata, l'accoglienza verso gli immigrati. Si tratta di valori indivisibili che toccano la sfera della "vita" e della "solidarietà" e che costituiscono garanzia di impegno civile e sociale nell'attuazione dei propri incarichi politici: quale solidarietà sociale si ha infatti se si rifiuta o si sopprime la vita, specialmente la più debole?

Ridurre a ingerenza o interferenza clericale tali affermazioni non tiene conto del fatto che nella sua prolusione, il Presidente della CEI, nell'ambito delle sue responsabilità di guida della Chiesa Cattolica Italiana, si rivolge prima di tutto ai cattolici, cittadini italiani a tutti gli effetti, chiamati ad esprimere il loro voto alle prossime regionali e nel pieno diritto di avere nel Magistero della Chiesa un riferimento sicuro e certo davanti a decisioni di tale portata .

Ridurre a ingerenza o interferenza clericale tali affermazioni vorrebbe limitare il cattolicesimo ad una questione puramente personale. Ma non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita così detta "spirituale", con i suoi valori e le sue esigenze, e dall'altra, la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura.

E' dovere di tutti i cristiani dedicarsi alla difesa dei propri valori e dei diritti umani; è diritto e dovere dei Pastori della Chiesa Universale, proporre i principi morali anche sull'ordine sociale dovunque questi siano minacciati.

Le posizioni della Chiesa e di chi ha fede, sui grandi temi della vita e della famiglia, hanno pari dignità e diritto di essere espresse in ambito politico, di qualsiasi altra posizione.

La vera ingerenza sarebbe negare questa possibilità.

domenica 21 marzo 2010

Solidarietà agli amici di Maranathà.




APPELLO AL
SANTO PADRE BENEDETTO XVI


CI SIAMO ANCHE NOI, ESCLUSI DALLA PARROCCHIA
TRATTATI COME DEGLI APPESTATI


S.S. BENEDETTO XVI
con filiale devozione




Beatissimo Padre,

Dopo varie vicissitudini, sofferenze, soprusi, angherie, siamo stati “gratificati” ad avere da circa un anno e mezzo la Santa Messa in latino nella forma straordinaria. Sembrerebbe a prima vista che tutto andasse bene e che non dovremmo “mugugnare”. Siamo invece ad informarLa che la Santa Messa nella forma Straordinaria che si tiene ogni sabato a Sestri Levante GE, alle ore 16.00 nel Santuario Madonnina del Grappa, subisce una ulteriore fermata di due settimane, creando altri disagi, e problemi di comunicazione, specialmente nella imminente Settimana Santa.

Questi continui logoramenti che subiamo, sono una routine applicata dal nostro vescovo Alberto Tanasini della Diocesi di Chiavari, che non crediamo abbia inventato Lui stesso, ma che forse per essere benevoli, gli viene imposta da una stanza occulta da vescovi che comandano la CEI, tanto è vero che questo sistema di boicottaggio viene applicato in tutta Italia.

Caro Santo Padre, a luglio dell’anno scorso ci siamo fatti promotori di scrivere una Lettera Aperta che Le abbiamo anche inviato per posta, e che i suoi collaboratori della Segreteria dello Stato si sono ben guardati dal fargliela leggere. Sappiamo quanto sia molto occupato per motivi più gravi ed importati, quali ultimamente il problema abominevole della pedofilia nella nostra chiesa, ma che i giornalisti omettono volutamente di affrontare equamente anche quella più predominante ed estesa nella società e nelle famiglie.

Auspichiamo Santo Padre che Lei affronti, quest’altro problema dottrinale che investe la nostra fede e il futuro della Chiesa Cattolica e cioè ‘L’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum nelle nostre Parrocchie. Un motu proprio che nelle Sue intenzioni dà libertà e autonomia decisionale al Parroco di celebrare la Messa Tradizionale, ma che di fatto è ostacolato, sabotato, anche con minacce nei confronti di sacerdoti adempienti e con tecniche di logoramento ai fedeli che l'hanno ottenuta da parte dei suoi Vescovi .

Quando, i Vescovi non hanno alternative a bloccare del tutto il SM adottano il metodo standardizzato della CEI per relegare i gruppi di fedeli che ne hanno fatto richiesta, in oratori e chiese periferiche, con cambi degli orari e sospensioni improvvise al fine di indebolire ed evitare la formazione di un gruppo stabile. Normalmente concedono la celebrazione il sabato, invece che alla Domenica come dovrebbe essere per rispetto del Rito Antico ed in orari astrusi.

Il concedere la Messa, fuori della Parrocchia, è una forma grave e violenta, perché ci estranea completamente dalla nostra vita comunitaria in Parrocchia, e ci esclude completamente da una assistenza spirituale e formativa. Siamo trattati come degli appestati che potrebbero diffondere una malattia grave e che possa diffondersi.

Un Parroco, un Vescovo non possono essere pastori veri se non fanno un tentativo di accogliere non solo le pecorelle smarrite, ma anche i parrocchiani che vorrebbero entrare in Parrocchia ed invece viene loro chiusa la porta. Ma per quale motivo? Qual è il motivo per relegare lontano dalla Parrocchia la Messa Antica, quasi come fosse un sottoprodotto della liturgia cattolica, di dignità inferiore, e degna di essere frequentata solo da cattolici di dignità inferiore?

Noi siamo fedeli a quanto Lei ha scritto nel Summorum Pontificum, ove le due forme in uso dello stesso Rito Romano possono arricchirsi a vicenda. Questo non avverrà MAI perche i vescovi della CEI non hanno nessuna intenzione che si attualizzi questo arricchimento reciproco perché si inventano ogni giustificazione per evitare la celebrazione della Santa Messa in Parrocchia nella forma Straordinaria. Rileviamo pure che la Commissione ECCLESIA DEI, benché a conoscenza ed informata di quanto accade è come se non esistesse.

Ci appelliamo a Sua Santità Benedetto XVI, Vicario di Cristo, perché Lei è per noi l’unico riferimento in terra, cui speriamo di ottenere la sua comprensione. La ringraziamo di cuore per le continue ispirate e arricchenti catechesi che ci offre. A lei offriamo le nostre misere preghiere, e offriamo la nostra vita al Signore perché conceda a Lei salute ed una lunga vita per il bene della Chiesa.

Ci appelliamo all’intercessione della Beata Vergine Maria Immacolata.

In Xto e Maria.

Paolo e Giovanni
Gandolfo Lambruschini
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Sestri Levante, 21 Marzo 2010

Marcello Pera scrive al direttore del Corriere della Sera


Caro Direttore,

La questione dei sacerdoti pedofili o omosessuali scoppiata da ultimo in Germania ha come bersaglio il Papa. Si commetterebbe però un grave errore se si pensasse che il colpo non andrà a segno data l'enormità temeraria dell'impresa. E si commetterebbe un errore ancora più grave se si ritenesse che la questione finalmente si chiuderà presto come tante simili. Non è cosí. È in corso una guerra. Non propriamente contro la persona del Papa, perchè, su questo terreno, essa è impossibile. Benedetto XVI è reso inespugnabile dalla sua immagine, la sua serenità, la sua limpidezza, fermezza e dottrina. Basta il suo sorriso mite per sbaragliare un esercito di avversari. No, la guerra è fra il laicismo e il cristianesimo. I laicisti sanno bene che, se uno schizzo di fango arrivasse sulla tonaca bianca, verrebbe sporcata la Chiesa, e se fosse sporcata la Chiesa allora lo sarebbe anche la religione cristiana. Per questo i laicisti accompagnano la loro campagna con domande del tipo "chi porterà più i nostri figli in Chiesa?", oppure "chi manderà più i nostri ragazzi in una scuola cattolica?", oppure ancora "chi farà curare i nostri piccoli in un ospedale o una clinica cattolica?".

Qualche giorno fa una laicista si è lasciata sfuggire l'intenzione. Ha scritto: "l'entità della diffusione dell'abuso sessuale su bambini da parte di sacerdoti mina la stessa legittimazione della Chiesa cattolica come garante della educazione dei più piccoli". Non importa che questa sentenza sia senza prove, perchè viene accuratamente nascosta "l'entità della diffusione": un per cento di sacerdoti pedofili? dieci per cento? tutti? Non importa neppure che la sentenza sia priva di logica: basterebbe sostituire "sacerdoti" con "maestri" o con "politici" o con "giornalisti" per "minare la legittimazione" della scuola pubblica, dei parlamenti o della stampa. Ciò che importa è l'insinuazione, anche a spese della grossolanità dell'argomento: i preti sono pedofili, dunque la Chiesa non ha autorità morale, dunque l'educazione cattolica è pericolosa, dunque il cristianesimo è un inganno e un pericolo.

Questa guerra del laicismo contro il cristianesimo è campale. Si deve portare la memoria al nazismo e al comunismo per trovarne una simile. Cambiano i mezzi, ma il fine è lo stesso: oggi come ieri, ciò che si vuole è la distruzione della religione. Allora l'Europa pagò a questa furia distruttrice il prezzo della propria libertà. à incredibile che soprattutto la Germania, mentre si batte continuamente il petto per la memoria di quel prezzo che essa inflisse a tutta l'Europa, oggi, che è tornata democratica, se ne dimentichi e non capisca che la stessa democrazia sarebbe perduta se il cristianesimo venisse ancora cancellato. La distruzione della religione comportò allora la distruzione della ragione. Oggi non comporterà il trionfo della ragion laica, ma un'altra barbarie.

Sul piano etico, è la barbarie di chi uccide un feto perchè la sua vita nuocerebbe alla "salute psichica" della madre. Di chi dice che un embrione è un "grumo di cellule" buono per esperimenti. Di chi ammazza un vecchio perchè non ha più una famiglia che se ne curi. Di chi affretta la fine di un figlio perchè non è più cosciente ed è incurabile. Di chi pensa che "genitore A" e "genitore B" sia lo stesso che "padre" e "madre". Di chi ritiene che la fede sia come il coccige, un organo che non partecipa più all'evoluzione perchè l'uomo non ha più bisogno della coda e sta eretto da solo. E cosí via.

Oppure, per considerare il lato politico della guerra dei laicisti al cristianesimo, la barbarie sarà la distruzione dell'Europa. Perchè, abbattuto il cristianesimo, resterà il multiculturalismo, che ritiene che ciascun gruppo ha diritto alla propria cultura. Il relativismo, che pensa che ogni cultura sia buona quanto qualunque altra. Il pacifismo che nega che il male esiste. Oppure resterà quell'europeismo retorico e irresponsabile che dice che l'Europa non deve avere una propria specifica identità, ma essere il contenitore di tutte le identità. Salvo poi ricredersi e andare nella cattedrale di Strasburgo a dire: "ora abbiamo bisogno dell'anima cristiana dell'Europa".

Questa guerra al cristianesimo non sarebbe cosí pericolosa se i cristiani la capissero. Invece, all'incomprensione partecipano molti di loro. Sono quei teologi frustrati dalla supremazia intellettuale di Benedetto XVI. Quei vescovi incerti che ritengono che venire a compromesso con la modernità sia il modo migliore per aggiornare il messaggio cristiano. Quei cardinali in crisi di fede che cominciano a insinuare che il celibato dei sacerdoti non è un dogma e che forse sarebbe meglio ripensarlo. Quegli intellettuali cattolici felpati che pensano che esista una questione femminile dentro la Chiesa e un non risolto problema fra cristianesimo e sessualità. Quelle conferenze episcopali che sbagliano l'ordine del giorno e, mentre auspicano la politica delle frontiere aperte a tutti, non hanno il coraggio di denunciare le aggressioni che i cristiani subiscono e l'umiliazione che sono costretti a provare dall'essere tutti, indiscriminatamente, portati sul banco degli imputati. Oppure quei cancellieri venuti dall'Est che esibiscono un bel ministro degli esteri omosessuale mentre attaccano il Papa su ogni argomento etico, o quelli nati nell'Ovest, i quali pensano che l'Occidente deve essere laico, cioè anticristiano.

La guerra dei laicisti continuerà, se non altro perchè un Papa come Benedetto XVI che sorride ma non arretra di un millimetro la alimenta. Ma se si capisce perchè non si sposta, allora si prende la situazione in mano e non si aspetta il prossimo colpo. Chi si limita soltanto a solidarizzare con lui o è uno entrato nell'orto degli ulivi di notte e di nascosto oppure è uno che non ha capito perchè ci sta.

© Corriere della Sera

sabato 20 marzo 2010

Contro chi sputa sui preti

«Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Ed io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Non prævalebunt!

Ci scrive un missionario indignato per la campagna dei media sulla pedofilia.

Sono in Italia da alcuni giorni e sono davvero amareggiato, addolorato per questi continui attacchi al Santo Padre, ai sacerdoti, alla Chiesa cattolica, usando la diabolica arma della pedofilia. E’ vero, questo argomento sembra interessare più a certi giornali e alle loro fantasie e allucinazioni che al pubblico: perché ho incontrato migliaia di persone e per lo più giovani, ma nessuno mi ha posto una domanda su questa questione. Il che significa che, sebbene esista questo flagello nel mondo e abbia intaccato anche la chiesa, con la dura, chiara e forte condanna del Santo Padre, siamo lontani anni luce da quel fenomeno di massa, come se tutti i preti fossero pedofili, come vogliono farci credere. Sono quarant’anni che sono sacerdote, sono stato in diverse parti del mondo, ho vissuto in brefotrofi, scuole, internati per bambini, ma non ho mai trovato un collega colpevole di questo delitto. Non solo, ma ho vissuto con sacerdoti, religiosi che hanno dato la vita perché questi bimbi avessero la vita.

Attualmente vivo in Paraguay, la mia missione abbraccia tutto l’umano nella sua povertà, quell’umano gettato nell’immondizia dal sensazionalismo dei media. Da 20 anni condivido la mia vita con prostitute, omosessuali, travestiti, ammalati di Aids, raccolti per le strade, negli immondezzai, nelle favelas e me li porto a casa dove la Provvidenza divina ha creato un ospedale di primo mondo come struttura architettonica, ma paradisiaco come clima umano. E in questa “anticamera del Paradiso”, come lo chiamano loro, li accompagno al Paradiso. Hanno vissuto come “cani” e muoiono come principi. Vicino alla clinica, sempre la Provvidenza ha creato due “case di Betlemme” per ricordare il luogo dove è nato Gesù, che raccolgono 32 bambini, molti di essi violentati dai patrigni o dal compagno occasionale della “madre”. Tutti i giorni ho a che fare con situazioni terribili e indescrivibili. Spesso non ho neanche la capacità di leggere i referti delle assistenti sociali, tanto sono orrende le violenze sessuali subite dai miei bambini. Eppure, dopo alcuni mesi che sono con noi, respirano un’altra aria, quell’aria che solo il fatto cristiano e l’amore di noi sacerdoti contro cui i mostri del giornalismo si scagliano, facendo di ogni erba un fascio. Aveva ragione Pablo Neruda quando definiva certi giornalisti “coloro che vivono mangiando gli escrementi del potere”.

La certezza che “io sono Tu che mi fai” che sono frutto del Mistero e non l’esito dei miei antecedenti, per quanto pessimi possano essere stati, si trasmette come per osmosi nel cuore dei miei bambini che ritrovano il sorriso. Come si trasmette anche sui “mostri” (se così vi piace chiamarli voi giornalisti… a cui tanto assomigliate per la vostra ipocrisia) parlo di quelli che sembrano divertirsi a sputare contro la chiesa) che in fondo a loro volta, spesso, sono vittime e carnefici, vittime da piccoli e carnefici da grandi, avendo vissuto come bestie. Il mio cuore di prete mentre do la mia vita per questi innocenti non può non dare la vita, come Gesù, anche per coloro di cui Gesù ha detto con parole fortissime “prima di scandalizzare uno di questi piccoli è meglio mettersi una macina da mulino al collo e buttarsi nel profondo del mare”.
Sono solo alcuni esempi, di milioni, della carità della chiesa. Mi fa soffrire questo sputare nel piatto nel quale, Dio lo voglia, anche certi morbosi giornalisti, un domani si troveranno a mangiare, perché se uno sbaglia non significa che la chiesa sia così. Questa chiesa che è il respiro del mondo. Non vi chiedete cosa sarebbe di questo mondo senza questo porto di sicura speranza per ogni uomo, compresi voi che in questi giorni come corvi inferociti vi divertite sadicamente a sputare sopra il Suo Casto Volto? Venite nel terzo mondo per capire cosa vuol dire migliaia di preti e suore che muoiono dando la vita per i bambini. Venite a vedere i miei bambini violentati che alcuni giorni fa prima di partire per l’Italia piangevano chiedendomi: “Papà quando torni?”.

Non voglio strappare le lacrime a voi che siete come le pietre ma solo ricordarvi che anche per voi un giorno quando la vita vi chiederà il “redde rationem vilicationis tuae” questa chiesa, questa madre contro cui avete imparato bene il gioco dello sputo, vi accoglierà, vi abbraccerà, vi perdonerà. Questa madre, che da 2000 anni è sputacchiata, derisa, accusata e che da 2000 anni continua a dire a tutti coloro che lo chiedono: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.
Questa madre, che sebbene giudichi e condanni duramente il peccato e richiami duramente il peccatore reo di certi orrendi delitti, come la pedofilia, non chiude e non chiuderà mai le porte della sua misericordia a nessuno. Mi confortano le parole di Gesù “le porte dell’inferno non prevarranno mai”. Come mi conforta l’immensa santità che trabocca dal suo corpo di “casta meretrix”.
Allora non perdiamo tempo dietro i deliri di alcuni giornalisti che usano certi esecrabili casi di pedofilia per attaccare l’Avvenimento cristiano, per mettere in discussione la perla del celibato, ma guardiamo le migliaia di persone, giovani in particolare, incontrati personalmente in una settimana di permanenza in Italia che credono, cercano e domandano alla chiesa il perché, il senso ultimo della vita e che vedono in lei l’unica possibile risposta.

Personalmente mi preoccupa di più l’assenza di santità in molti di noi sacerdoti che altre cose per quanto gravi e dolorose siano. Mi preoccupa di più una chiesa che si vergogna di Cristo, invece che predicarlo dai tetti. Mi preoccupa di più non incontrare i sacerdoti nel confessionale per cui il peccatore spesso vive quel tormento del suo peccato perché non trova un confessore che lo assolva. Alle accuse infamanti di questi giorni urge rispondere con la santità della nostra vita e con una consegna totale a Cristo e agli uomini bisognosi, come non mai, di certezza e di speranza. Alla pedofilia si deve rispondere come il Papa ci insegna. Però solo annunciando Cristo si esce da questo orribile letamaio perché solo Cristo salva totalmente l’uomo. Ma se Cristo non è più il cuore della vita, allora qualunque perversione è possibile. L’unica difesa che abbiamo sono i nostri occhi innamorati di Cristo. Il dolore è grandissimo, ma la sicurezza granitica: “Io ho vinto il mondo” è infinitamente superiore.

Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay

© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO

Sommario della Lettera Pastorale del Papa ai fedeli irlandesi



Il Papa ha indirizzato una Lettera Pastorale a tutti i Cattolici dell’Irlanda per esprimere lo sgomento per gli abusi sessuali commessi sui giovani da parte di esponenti della Chiesa e per il modo in cui essi furono affrontati dai vescovi irlandesi e dai superiori religiosi. Egli chiede che la Lettera sia letta con attenzione nella sua interezza. Il Santo Padre parla della sua vicinanza nella preghiera a tutta la comunità cattolica irlandese in questo tempo pieno di amarezza e propone un cammino di risanamento, di rinnovamento e di riparazione.

Chiede loro di ricordarsi della roccia da cui sono stati tagliati (cfr Is 51, 1), e in particolare del bel contributo che i missionari irlandesi apportarono alla civilizzazione dell’Europa e alla diffusione del cristianesimo in ogni continente. Negli ultimi anni si sono verificate molte sfide alla fede in Irlanda, al sopraggiungere di un rapido cambiamento sociale e di un declino nell’attaccamento a tradizionali pratiche devozionali e sacramentali. Questo è il contesto all’interno del quale si deve comprendere il modo con cui la Chiesa ha affrontato il problema dell’abuso sessuale dei ragazzi.

Molti sono i fattori che hanno originato il problema: una insufficiente formazione morale e spirituale nei seminari e nei noviziati, una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità, una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali hanno portato alla mancata applicazione, quando necessarie, delle pene canoniche che erano in vigore. Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla crisi è possibile identificarne con precisione le cause e trovare rimedi efficaci.

Durante la loro visita ad Limina a Roma nel 2006 il Papa ha esortato i vescovi irlandesi a “stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i princìpi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi”. Da quel momento egli ha voluto incontrare vittime in più di una occasione, ascoltando le loro vicende, pregando con loro e per loro, ed è pronto a farlo di nuovo in futuro. Nel febbraio 2010 ha chiamato a Roma i vescovi irlandesi per esaminare con loro le misure che stanno prendendo per porre rimedio al problema, con particolare riferimento alle procedure e ai protocolli ora in vigore per assicurare la tutela dei ragazzi negli ambienti ecclesiali e per rispondere con prontezza e con giustizia alle denunce di abusi. In questa Lettera Pastorale egli parla direttamente a una serie di gruppi all’interno della comunità cattolica irlandese, alla luce della situazione che si è creata.

Rivolgendosi in primo luogo alle vittime di abuso, egli prende atto del tremendo tradimento del quale hanno sofferto e dice loro quanto egli è dispiaciuto per ciò che hanno sopportato. Riconosce come in molti casi nessuno era disposto ad ascoltarli quando trovavano il coraggio di parlare di quanto era accaduto. Si rende conto di come coloro che dimoravano in convitti dovevano essersi sentiti, rendendosi conto che non avevano modo di sfuggire alle loro sofferenze. Pur riconoscendo quanto deve risultare difficile per molti di loro perdonare o riconciliarsi con la Chiesa, li esorta a non perdere la speranza. Gesù Cristo, lui stesso vittima di ingiuste sofferenze, comprende gli abissi della loro pena e il perdurare del suo effetto sulle loro vite e sulle loro relazioni. Ciononostante proprio le sue ferite, trasformate dalle sue sofferenze redentrici, sono i mezzi attraverso i quali il potere del male viene infranto e noi rinasciamo alla vita e alla speranza. Il Papa esorta le vittime a cercare nella Chiesa l’opportunità di incontrare Gesù Cristo e di trovare risanamento e riconciliazione riscoprendo l’infinito amore che Cristo ha per ciascuno di essi.

Nelle sue parole ai sacerdoti e ai religiosi che hanno commesso abusi sui giovani, il Papa ricorda loro che devono rispondere davanti a Dio e a tribunali debitamente costituiti, per le azioni peccaminose e criminali che hanno commesso. Hanno tradito una fiducia sacra e rovesciato vergogna e disonore sui loro confratelli. Un grande danno è stato arrecato, non soltanto alle vittime, ma anche alla pubblica percezione del sacerdozio e della vita religiosa in Irlanda. Mentre esige da loro che si sottomettano alle esigenze della giustizia, ricorda loro che non devono disperare della misericordia di Dio, che egli ha liberamente offerto anche ai peccatori più grandi, se si pentono delle loro azioni, fanno penitenza e con umiltà implorano perdono.

Il Papa incoraggia i genitori a perseverare nel difficile compito di educare i figli a riconoscere che sono amati e desiderati e a sviluppare una sana stima di sé. I genitori hanno la responsabilità primaria di educare le nuove generazioni ai princìpi morali che sono essenziali per una civiltà civile. Il Papa invita i ragazzi e i giovani a trovare nella Chiesa un’opportunità per un incontro vivificante con Cristo, e a non lasciarsi frenare dalle mancanze di alcuni sacerdoti e religiosi. Egli guarda al contributo dei giovani per il rinnovamento della Chiesa. Esorta anche i sacerdoti e i religiosi a non scoraggiarsi, ma al contrario a rinnovare la loro dedizione ai rispettivi apostolati, operando in armonia con i loro superiori in modo da offrire nuova vita e dinamicità alla Chiesa in Irlanda attraverso la loro vivente testimonianza all’opera redentrice del Signore.

Rivolgendosi ai vescovi irlandesi, il Papa rileva i gravi errori di giudizio e il fallimento della leadership di molti di loro, perché non applicarono in modo corretto le procedure canoniche nel rispondere alle denunce di abusi. Sebbene risultasse spesso difficile sapere come affrontare situazioni complesse, rimane il fatto che furono commessi seri errori e che di conseguenza essi hanno perso credibilità. Il Papa li incoraggia a continuare a sforzarsi con determinazione per porre rimedio agli errori del passato e per prevenire ogni loro ripetersi, applicando in modo pieno il diritto canonico e cooperando con le autorità civili nelle aree di loro competenza. Invita inoltre i vescovi ad impegnarsi a diventare santi, a presentarsi come esempi, ad incoraggiare i sacerdoti e i fedeli a fare la loro parte nella vita e nella missione della Chiesa.

Infine, il Papa propone alcuni passi specifici per stimolare il rinnovamento della Chiesa in Irlanda. Chiede a tutti di offrire le loro penitenze del venerdì, per il periodo di un anno, in riparazione dei peccati di abuso che si sono verificati. Raccomanda di ricorrere con frequenza al sacramento della riconciliazione e alla pratica dell’adorazione eucaristica. Annuncia l’intenzione di indire una Visita Apostolica di alcune diocesi, congregazioni religiose e seminari, con il coinvolgimento della Cura Romana, e propone una Missione a livello nazionale per i vescovi, i sacerdoti e i religiosi in Irlanda. In questo Anno dedicato in tutto il mondo ai Sacerdoti, presenta la persona di San Giovanni Maria Vianney come modello e intercessore per un rivivificato ministero sacerdotale in Irlanda. Dopo aver ringraziato tutti coloro che si sono impegnati con alacrità per affrontare con decisione il problema, conclude proponendo una Preghiera per la Chiesa in Irlanda, da usare da tutti i fedeli per invocare la grazia del risanamento e del rinnovamento in questo tempo di difficoltà.
fonte: Vatican.va

venerdì 19 marzo 2010

19 Marzo San Giuseppe


PER IL GIORNO DELLA FESTA DEL SANTO PATRIARCA

(19 MARZO)

PREGHIERA

Ti onoriamo, o glorioso San Giuseppe! perché sei il Santo più ono­rato del cielo e della terra. Dio Padre ti onorò affidando alla tua custodia il suo Figlio Gesù e la sua Figlia Maria, i due tesori più amati del suo cuore. Dio Figlio ti onorò chiamandoti Padre, obbedendoti e affidando la sua vita e la sua cura nelle tue mani. Lo Spirito Santo ti onorò consegnan­doti la sua Sposa, la Vergine Maria, come tua sposa. Gesù e Maria, dopo averti onorato standoti sottomessi per trent'anni consecutivi, assistette­ro alla tua preziosa morte. La Chiesa ti onora istituendo feste in tuo onore, chiamandoti Patrono della Chiesa Universale, assicurando che degno di sommi onori e lodi. I Santi e i fedeli, tutti ti invocano con perseveranza, con entusiasmo e amore sempre cre­scente, come Santo senza eguali, che soccorre in tutte le necessità, che difende in tutte le difficoltà, consola in tutte le tribolazioni, e protegge in tutte le disgrazie della vita, e in modo speciale, nell'ora della morte. In dignità e grazia, in santità e glo­ria, non troveremo nessun altro Santo, dopo Maria, più onorato da Dio e dagli uomini che Te, glorioso Patriarca. Cosa non potresti ottenere, benedetto Santo, in favore dei tuoi devoti? Le tue suppliche hanno la forza di un comando con Gesù e Maria. Chi è come Te, che in cielo può chiamare Figlio il Re della gloria e Sposa Maria, Regina del cielo e della terra? Tutti speriamo e confi­diamo in Te, perché in vita possiamo conoscere, amare e servire Gesù, Maria e Te, e dopo la nostra morte godere in Vostra compagnia la mise­ricordia eterna dell'Altissimo. Amen.

martedì 16 marzo 2010

L’ottimismo cristiano


Testi di San Josemaría Escrivà.


Dobbiamo essere ottimisti, ma di un ottimismo che nasce dalla fede nel potere di Dio. L'ottimismo cristiano non è ottimismo dolciastro, e neppure la fiducia umana che tutto andrà bene. È un ottimismo che affonda le sue radici nella coscienza della libertà e nella sicurezza del potere della grazia; un ottimismo che porta a essere esigenti con noi stessi, a sforzarci per corrispondere in ogni momento alle chiamate di Dio.
Forgia, 659

Compito del cristiano: annegare il male nella sovrabbondanza del bene. Non si tratta di far campagne negative, né di essere antiqualcosa. Al contrario: si tratta di vivere di affermazioni, pieni di ottimismo, con gioventù, allegria e pace; di guardare tutti con comprensione: quelli che seguono Cristo e quelli che lo abbandonano o non lo conoscono. Ma comprensione non significa astensionismo, né indifferenza, bensì azione.
Solco, 864

Il Signore, ripeto, ci ha dato il mondo in eredità. E noi dobbiamo avere anima e intelligenza vigili; dobbiamo essere realisti, pur senza cadere nel disfattismo. Solo una coscienza incallita, o l'insensibilità dell'abitudinarismo, o lo stordimento frivolo, possono permettere che si guardi il mondo senza vedere il male, l'offesa a Dio, il danno a volte irreparabile arrecato alle anime. Dobbiamo essere ottimisti, ma di un ottimismo che nasce dalla fede nel potere di Dio — e Dio non perde battaglie — un ottimismo che non si fonda sulla sufficienza umana, su di un senso di soddisfazione sciocco e presuntuoso.
E’ Gesù che passa, 123

La gioia, l'ottimismo soprannaturale e umano, sono compatibili con la stanchezza fisica, col dolore, con le lacrime — perché abbiamo un cuore —, con le difficoltà nella vita interiore o nel lavoro apostolico.
Egli, “perfectus Deus, perfectus Homo” — perfetto Dio e perfetto Uomo —, che possedeva tutta la felicità del Cielo, volle provare la fatica e la stanchezza, il pianto e il dolore..., perché comprendessimo che essere soprannaturali implica essere molto umani.
Forgia, 290

Il Signore ha voluto che noi suoi figli, che abbiamo ricevuto il dono della fede, manifestiamo l'originaria visione ottimistica della creazione, l'“amore per il mondo” che palpita nel cristianesimo.
— Pertanto, non deve mai mancare lo slancio nel tuo lavoro professionale, e nel tuo impegno per costruire la città terrena.
Forgia, 703

Perché questo scoraggiamento? Per le tue miserie? Per le tue sconfitte, talvolta ripetute? Per un tonfo grande, grande, che non ti aspettavi?
Sii semplice. Apri il tuo cuore. Guarda che nulla ancora è perduto. Puoi ancora andare avanti, e con più amore, con più affetto, con più fortezza.
Rifugiati nella filiazione divina: Dio è il tuo Padre amantissimo. Questa è la tua sicurezza, il fondale in cui gettare l'àncora, succeda quel che succeda alla superficie del mare della vita. E troverai gioia, fortezza, ottimismo, vittoria!!
Via Crucis, 7, 2

Prima eri pessimista, indeciso e apatico. Adesso ti sei completamente trasformato: ti senti audace, ottimista, sicuro di te stesso..., perché finalmente hai deciso di cercare appoggio solo in Dio.

(fonte:http://www.it.josemariaescriva.info/articolo/l92ottimismo-cristiano)

lunedì 15 marzo 2010

Nota del Vicariato di Roma in merito alle imminenti elezioni regionali


Pubblichiamo una nota del Vicariato di Roma in merito alle imminenti elezioni regionali


In questi giorni di campagna elettorale, segnata da un clima tutt'altro che sereno, qualche organo di stampa e privati cittadini si sono domandati perché "la Chiesa ufficiale nel Lazio non parla", trattandosi di una competizione "anomala" rispetto al confronto tra i tradizionali schieramenti. La risposta più semplice è che forse non ce n'è bisogno, tanto sono chiare le posizioni. Ma un paio di considerazioni mette conto farle, a prescindere dal problema delle liste.


Anzitutto il rispetto che si deve ai cittadini, che non sono dei fanciulli spensierati, a cui si devono dispensare buoni consigli e ricordare di continuo i valori in gioco. Nel contesto di una crisi economica così grave che toglie la serenità a tante famiglie e getta nello sconforto gran parte dei giovani, tutt'altro che speranzosi per il loro futuro, le promesse elettorali riscuotono poca attenzione, perché purtroppo molto bassa è la fiducia verso la classe politica in generale. I pastori della Chiesa, che nell'esercizio del loro ministero incontrano la gente ogni giorno, e la comunità ecclesiale restano convinti che le parole che si ascoltano volentieri sono quelle confermate dalla testimonianza della vita e dall'impegno concreto e coerente.

Secondo. La società a cui aspiriamo che, nel rispetto delle regole democratiche e di chi non la pensa come noi, è impegnativo costruire e per la quale ci battiamo, ha un "chiodo fisso" a cui appendere tutto, che è la dignità della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, e il suo sviluppo integrale, che - come insegna il Papa - "riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione". Dunque l'uomo considerato non solo nel suo essere terreno, ma nella prospettiva eterna, senza la quale "il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro", perché "chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell'avere" (Caritas in veritate, 11).

Il progetto politico che sosteniamo considera diritti "irrinunciabili", quanto al riconoscimento che all'esercizio effettivo, la libertà religiosa, la difesa della sacralità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, le libertà fondamentali della persona, la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, aperta alla maternità e paternità responsabile, la libertà educativa e di istruzione, il lavoro retribuito secondo giustizia, la cura della salute, l'apertura agli immigrati in un sistema di leggi che coniughi insieme accoglienza, legalità e sicurezza, la casa, la salvaguardia del creato. In una parola, il bene comune che è tale solo se assicura l'insieme delle condizioni di vita sociale grazie alle quali i cittadini possono conseguire il loro perfezionamento. Questi diritti e valori umani e civili, i cittadini cristiani - per i quali la fede non è un sentimento elastico che si modella a piacimento e ad ogni circostanza ma la ragione di senso e il fine della vita - intendono sostenere anche con il proprio voto.

Non è possibile dunque equiparare qualunquisticamente tutti i progetti politici, perché non tutti incarnano i valori in cui crediamo. Né si possono concedere deleghe di rappresentanza politica a chi persegue altro progetto politico, che ci è estraneo e che non condividiamo.

E deploriamo ogni forma di propaganda elettorale, spacciata come sostenitrice della visione cattolica, ma che tale non è.
(©L'Osservatore Romano - 15-16 marzo 2010)