lunedì 10 novembre 2025

Maria Mediatrice e Corredentrice: Fondamenti Teologici e Prospettive Pastorali

 

                                                  

La riflessione mariologica è uno degli aspetti più delicati e centrali della teologia cattolica. Maria Santissima occupa una posizione unica nel piano della salvezza, partecipando all’opera redentrice di Cristo in modo singolare.

I titoli di Mediatrice e Corredentrice non sono invenzioni tardive, ma derivano da secoli di meditazione teologica, patristica e scolastica, e sottolineano la sua cooperazione subordinata ma reale nell’opera salvifica.

Recentemente, documenti della Santa Sede hanno suggerito di limitare l’uso di questi titoli, per motivi di “pastorale prudenza”. Tale approccio, pur volendo evitare fraintendimenti, rischia di sminuire gravemente il ruolo unico di Maria.

Lo scopo di questa riflessione è:

1. Analizzare approfonditamente i titoli di Mediatrice e Corredentrice, con basi teologiche e   patristiche.

2.  Leggere il documento della Santa Sede alla luce della tradizione teologica.

3. Offrire un approfondimento mariologico completo, con implicazioni pastorali.



I. Fondamenti Teologici di Maria Mediatrice e Corredentrice

1. Maria come Nuova Eva

La teologia cattolica ha sempre evidenziato la relazione antitetica tra Eva e Maria. Sant’Ireneo di Lione (†202) scrive:

«Dio mandò l’umanità attraverso Maria, affinché, come Eva aveva portato la morte per disobbedienza, Maria portasse la vita per obbedienza»¹.

Maria è quindi la Nuova Eva: la sua obbedienza e cooperazione hanno un ruolo attivo nella storia della salvezza. Questa partecipazione non è autonoma, ma subordinata e finalizzata a Cristo.

2. Titolo di Mediatrice

Il titolo di Mediatrice indica che Maria distribuisce le grazie divine agli uomini, non come fonte indipendente, ma come tramite designato da Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1 Tim 2,5). La sua mediazione è partecipata, subordinata e strumentale alla Redenzione. Teologi come Bernardo di Chiaravalle affermano che:

«Maria è mediatrice dei doni di Dio, ma solo in quanto partecipante alla mediazione di Cristo»².

Questo titolo perciò non sminuisce Cristo, ma ne conferma la centralità nella storia della salvezza.

3. Titolo di Corredentrice

Il termine Corredentrice descrive la collaborazione attiva di Maria nell’opera redentrice. Il concetto non implica che Maria sia co-partecipe dell’essenza della Redenzione, ma che abbia cooperato in modo unico: dalla maternità di Cristo, alla sua presenza ai piedi della croce, fino alla sua intercessione nella Chiesa nascente. Giovanni Damasceno scrive:

«Maria cooperò con Cristo nell’opera della salvezza come madre, come discepola perfetta, e come collaboratrice»³.

La combinazione dei due titoli (Mediatrice e Corredentrice) permette di comprendere la dimensione cristocentrica della mediazione mariana.


II. Sguardo sui rischi del Documento della Santa Sede

Negli ultimi documenti della Santa Sede, è stato suggerito di evitare i termini Mediatrice e Corredentrice, per timore di equivoci teologici. Tale posizione appare altamente limitante per diverse ragioni:

1. Sminuisce il ruolo unico di Maria: ridurre l’uso dei titoli può far credere che Maria non sia la creatura più santa e privilegiata dell’universo.

2. Non chiarisce la subordinazione a Cristo: infatti un approccio pastorale corretto avrebbe ribadito i titoli, spiegando chiaramente la partecipazione subordinata alla Redenzione.

3. Rischi pastorali: i fedeli potrebbero interpretare il divieto come un indebolimento della devozione mariana, creando confusione sulla storia della salvezza.

Un approccio veramente pastorale avrebbe dovuto valorizzare l’uso corretto dei titoli, sottolineando la cooperazione di Maria nella Redenzione senza confondere la sua mediazione con quella di Cristo.


III. Approfondimento Mariologico

Maria è la Nuova Eva, Madre della Chiesa e vertice della creazione. 

Il suo ruolo nella Redenzione include necessariamente:

  • Cooperazione alla salvezza: attraverso maternità, obbedienza e intercessione.
  • Titoli cristocentrici: Mediatrice e Corredentrice sono subordinati a Cristo.
  • Riflessione pastorale: è essenziale comunicare la centralità di Maria senza creare confusione con la mediazione di Cristo.

IV. Conclusione

Il ruolo di Maria Mediatrice e Corredentrice è:

  • Teologicamente fondato, radicato nei Padri e nei teologi scolastici.
  • Pastoralmente necessario, per guidare i fedeli nella comprensione della Redenzione.
  • Da insegnare correttamente, evidenziando la subordinazione a Cristo e la cooperazione unica di Maria.

Ciò che emerge chiaramente da questi approfondimenti sulla figura di Maria nella Tradizione e nel Magistero cattolico, è che nella Chiesa non ci sia mai stato un serio pericolo di confusione circa il significato dell senso e del ruolo della mediazione di Maria Santissima. Quello che può avere mosso la pubblicazione di quest'ultimo documento, potrebbe riferirsi ad una sorta di necessità «pastorale» che però si doveva e poteva affrontare ribadendo, specificandola, l'importanza di tali titoli, spiegandoli con approfondimenti teologici e divulgandone più dettagliatamente i contenuti. Quello che purtroppo si è scelto di fare è ridurre il ruolo di Maria Santissima, minimizzandolo rispetto alla Tradizione cattolica, riducendolo in sostanza a quello di semplice creatura, con il risultato di creare equivoci sul disegno divino della Salvezza proposta al popolo nella catechesi e nella vita della Chiesa.

Si è scelto, nuovamente, di privilegiare un senso ingannevole di accoglienza e di rispetto per i non credenti, senza rimanere coerenti e saldi nella Verità. Ma arriverà anche il tempo in cui ciò che è stato taciuto, verrà proclamato sui tetti.

Ad Majora!


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Critica al Documento di Abu Dhabi



L’approfondimento di questo tema ha inoltre dato modo di fare una riflessione su un altro documento, quello di Abu Dhabi. Il documento "Mater Populi Fidelis", pubblicato il 4 novembre 2025 e quello sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato a Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e dall’Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, hanno in comune un pericolosissimo vulnus, quello di presentare una distorta smania “pastorale” che non fa altro che creare confusione e minare verità teologiche.

Il Documento di Abu Dhabi afferma che la pluralità delle religioni sarebbe ”voluta da Dio", senza distinguere tra volontà positiva e volontà permissiva, generando equivoci dottrinali significativi. Da un punto di vista teologico, tale affermazione risulta infatti altamente pericolosa e  problematica:

1.  Volontà positiva vs volontà permissiva: la Chiesa distingue tra la volontà positiva di Dio (voler la salvezza tramite la fede cattolica) e la volontà permissiva (permettere l’esistenza di altre religioni senza approvarle). Ignorare e non specificare nel documento questa distinzione porta a gravi equivoci.

2. Rischio pastorale: la diffusione del documento senza precisazioni può far credere che tutte le religioni siano ugualmente salvifiche, contraddicendo la dottrina cattolica.

3. Conseguenze dottrinali: il pluralismo religioso non è voluto da Dio come via di salvezza, ma permesso per libertà e prova. La Chiesa cattolica resta l'unica, apostolica e romana.

 

A partire da queste premesse, la diffusione negli ultimi anni di questi due documenti, (ma potremo citarne diversi altri), ha fatto sorgere diverse criticità soprattutto in relazione a una corretta prospettiva di una pastorale che oggi corre il serio rischio di essere eccessivamente votata all’inclusione e alla tolleranza, senza tuttavia essere guidata da un rigoroso discernimento teologico fondato sulla Verità. Sganciarsi da questo significa di fatto ridurre la pastorale una forma di accomodamento che rischia però di rinnegare implicitamente i principi dottrinali e magisteriali della Chiesa a discapito della fede del popolo e della Verità di Dio.


 

Bibliografia

1.     Sant’Ireneo di Lione, Adversus Haereses

2.     Bernardo di Chiaravalle, Sermones de Beata Virgine Maria

3.     Giovanni Damasceno, Omilia in Dormitionem B. Mariae Virginis

4.     Sant’Agostino, Sermones

5.     Biblia Sacra Vulgata, Ed. Stuttgart

6.     La Sacra Bibbia, Conferenza Episcopale Italiana

7.     Documenti ufficiali della Santa Sede

8.     Commenti critici e teologia mariologica moderna

giovedì 9 ottobre 2025

Abbiamo bisogno di Dio, anche se non lo sappiamo

 




C’è un vuoto dentro ogni essere umano che nessuna conquista materiale, nessun successo personale e nessuna relazione puramente terrena riescono a colmare. È il vuoto di Dio. L’uomo moderno, nella sua corsa verso l’autonomia assoluta, si è illuso di poter bastare a sé stesso, di poter dare un senso alla propria esistenza senza fare riferimento al suo Creatore. Ma la sete di infinito che abita il cuore umano — quella che Sant’Agostino riconobbe con le parole: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” — continua a gridare dentro ciascuno di noi.

L’uomo che non vuole guardarsi dentro. Scendere in profondità nel proprio cuore è un atto che richiede coraggio. Significa smettere di nascondersi dietro l’apparenza, dietro la produttività, dietro l’illusione di controllo. È un passo che la cultura contemporanea scoraggia bombardandoci con messaggi fallaci e menzogneri: siamo invitati a “sentirci bene” ma non a interrogarci sul senso. Eppure, è solo lì, nel silenzio e nella verità di noi stessi, che emerge il bisogno più radicale dell’uomo — il bisogno di un Altro che dia consistenza e senso al nostro essere.

Quando l’uomo rimuove Dio dalla propria vita, non si libera: si perde. La storia moderna ne è testimone. Le ideologie materialiste e nichiliste hanno promesso emancipazione, ma hanno prodotto alienazione. Hanno tolto Dio, ma con Lui hanno tolto anche la verità sull’uomo. Benedetto XVI lo ha espresso con lucidità: “Quando si esclude Dio, non si eleva l’uomo, lo si abbandona.”

Il mondo senza Dio diventa un deserto interiore. Le società che hanno voluto sostituire Dio con il benessere economico, la tecnica o il potere, si ritrovano oggi afflitte da nuove forme di schiavitù: depressione, solitudine, perdita di significato, violenza gratuita. È come se l’umanità avesse voluto tagliare le radici per sentirsi più libera, scoprendo invece di non saper più respirare. Giovanni Paolo II ricordava che “l’uomo non può vivere senza amore”: non l’amore come emozione passeggera, ma come partecipazione al mistero stesso di Dio, che è Amore.

Il seme della superbia, che fin dall’inizio spinse Adamo a voler “essere come Dio”, continua a germogliare nel cuore dell’uomo di oggi. È la stessa tentazione di ogni epoca: credere che la felicità consista nell’autosufficienza. Ma senza Dio, l’uomo diventa schiavo dei suoi stessi desideri, vittima della sua stessa fame di senso. Noi stessi possiamo verificarne le nefaste conseguenze. Viviamo in un tempo in cui la verità sembra divenuta relativa, manipolabile, piegata agli interessi del momento. I mezzi di comunicazione, che dovrebbero essere strumenti di luce e conoscenza, spesso invece alimentano deliberatamente confusione, paura, divisione. L’epoca recente ha mostrato in modo drammatico quanto l’uomo, privo di un riferimento trascendente, possa smarrire il discernimento e consegnarsi docilmente alla menzogna.

Durante le crisi globali — sanitarie, politiche o economiche — si è manifestata con forza la gravissima fragilità spirituale del nostro tempo: la paura ha sostituito la fiducia, il sospetto ha distrutto la comunione, l’ansia di sicurezza ha reso molti incapaci di abbandonarsi alla Provvidenza, inducendo milioni di persone a credere ciecamente alla menzogna rassicurante. In un mondo che ha smesso di cercare la Verità, diventa facile credere a qualunque versione parziale della realtà. Oggi infatti viviamo in un’epoca in cui la falsità ha assunto un volto rispettabile e la manipolazione si è travestita da bene comune. Ciò che un tempo veniva riconosciuto come inganno oggi viene applaudito come progresso. Mai come ora l’uomo ha creduto tanto di sapere, e mai come ora si è dimostrato tanto cieco. La corsa alla tecnologia, la fiducia cieca nella scienza slegata dall’etica, la comunicazione ridotta a strumento di consenso: tutto questo ha mostrato la fragilità di un mondo che ha voluto sostituire Dio con sé stesso.

Gli ultimi anni hanno messo in luce in modo drammatico questa deriva. Intere popolazioni, smarrite dalla paura, si sono consegnate a poteri che promettevano salvezza ma rinnegavano la verità. Si è creduto a ciò che veniva ripetuto con forza, non a ciò che resisteva alla prova della coscienza. Si è scelto di fidarsi degli uomini invece che di Dio. E il prezzo di questa fiducia mal riposta è stato alto: solitudini, divisioni, un dolore profondo che ancora chiede guarigione. Il punto non è la scienza in sé, ma l’uso idolatrico che ne è stato fatto: l’uomo che si proclama salvatore di sé stesso dimentica che solo Dio salva davvero. Quando la ragione si separa dalla fede, la conoscenza si perverte in potere, e il potere — senza amore — diventa tirannia. Benedetto XVI lo aveva previsto: “Un mondo senza Dio diventa un mondo senza speranza.”

Le conseguenze di questo distacco sono sotto gli occhi di tutti: una società che diffida del prossimo, che teme il futuro, che ha perso il gusto della verità. La menzogna ripetuta e presentata come soluzione ha avvelenato le relazioni e confuso le coscienze. Ma Cristo è venuto proprio per questo: per rendere testimonianza alla Verità. Solo in Lui l’uomo può ritrovare il coraggio di credere, di pensare, di amare. Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritas in veritate, ci ricorda che “senza verità, la carità degenera nel sentimentalismo” e che solo radicando la vita nella verità di Dio possiamo resistere alla manipolazione e alla paura. Il vuoto lasciato da Dio non resta mai neutro: viene riempito da nuove idolatrie — la tecnica, l’economia, l’informazione — che si trasformano in strumenti di dominio.

Come si guarisce questa ferita spirituale? Con l’umiltà. Il primo passo è riconoscere la propria condizione di necessità che Papa Francesco indica spesso come la “beatitudine della mancanza”: quella che apre lo spazio per l’accoglienza della grazia. Ritrovare Dio significa anche ritrovare sé stessi. San Giovanni Paolo II lo ha affermato con forza: “L’uomo non può comprendere se stesso pienamente senza Cristo.” Solo riscoprendo la luce del Verbo incarnato, l’essere umano scopre di essere amato, perdonato, chiamato. Lontano da Dio, l’uomo è un enigma irrisolto; con Dio, ogni frammento della sua vita trova un posto nel mosaico dell’eternità.

È tempo di un risveglio spirituale. La verità è una sola, ha un volto e un nome: Gesù Cristo, il Signore.

Ed allora, quali possono essere i cammini concreti per ritrovare Dio? La preghiera è la strada maestra: solo lasciando spazio al dialogo con Dio l’uomo si riscopre figlio e non padrone della vita. I Sacramenti sono luoghi di guarigione dove la Grazia opera nel profondo. Un altro aspetto da affrontare è la ricerca della verità: come invitava Benedetto XVI, è urgente una “nuova evangelizzazione dell’intelligenza”, capace di ricucire fede e ragione impropriamente separate dall’uomo, ma mai dalla Chiesa. Ed infine una carità fattiva: In un mondo che misura tutto in termini di utilità, l’amore gratuito è la più concreta testimonianza della presenza di Dio.

Abbiamo dunque bisogno di Dio, anche se non lo sappiamo. Egli non è un limite alla nostra libertà, ma la condizione perché essa si realizzi pienamente. Senza di Lui, l’uomo perde la direzione e si smarrisce nel deserto dell’autosufficienza. Con Lui, ogni domanda, ogni dolore, ogni desiderio trova un senso. Non serve inventare un nuovo umanesimo: basta tornare a riconoscere che l’uomo è veramente uomo solo quando si lascia amare da Dio.Come ricordava Santa Teresa di Calcutta: “Tutto comincia con la preghiera e termina con la preghiera. Se non preghiamo, non possiamo vedere Dio in chi ci sta accanto.”

E forse è proprio da qui che può rinascere il mondo: dal riconoscere, umilmente, che Dio ci è necessario come l’aria che respiriamo.

venerdì 19 settembre 2025

L’assassinio di Charlie Kirk e la crisi dell’Occidente

 

Foto tratta dal web
Charlie Kirk

                                   

L’assassinio di Charlie Kirk, avvenuto durante un incontro pubblico in Utah, ha scosso profondamente non solo il mondo politico americano, ma anche l’opinione pubblica internazionale. Non si tratta di una morte come le altre: hanno colpito un uomo, giovane marito e padre, ma anche un simbolo di impegno, di speranza, di dedizione a una causa che, al di là delle appartenenze, aveva il coraggio di interpellare le coscienze.

Charlie Kirk, pur non essendo cattolico, viveva un dialogo quotidiano con la fede della moglie e con tanti credenti che lo hanno incrociato nel suo percorso. La sua vita non era esente da limiti, ma ha tentato con il suo impegno di dare un senso a chi lo aveva perduto, di offrire parole di orientamento a giovani smarriti, a persone disadattate che cercavano una via di ritorno alla preghiera, alla speranza, alla fede.

La brutalità con cui è stato strappato alla vita e le gravissime espressioni di esultanza provenienti da varie parti del mondo alla notizia della sua morte, richiamano un problema che prima di essere politico o di sicurezza, è soprattutto un problema che ha radici molto più profonde. È il sintomo del degrado morale e civile che segna la nostra epoca. In troppe parti del mondo occidentale assistiamo a una progressiva demolizione dei valori universali che dovrebbero essere condivisi da tutti: il bene, la pace, l’amore, la libertà di opinione, il confronto civile. Al loro posto cresce un linguaggio d’odio, una violenza diffusa, un clima di sospetto e di aggressività che disumanizza l’uomo e lo priva della sua dignità più profonda. Questa modalità è oggi diffusa in vastissimi ambiti e raggiunge moltissime fasce della popolazione. Spesso i nostri stessi colleghi, amici e conoscenti sono caduti nella trappola di questa mentalità polarizzante e mortificante che non riesce a oltrepassare i confini della decenza e del rispetto della dignità altrui. Da qui l'inquietante realtà che ci circonda: persone comuni che giustificano il più barbaro degli assassinii. 

Viviamo in un tempo in cui il livello di appiattimento morale ed etico delle masse ha raggiunto proporzioni inquietanti. Non è un fenomeno casuale né spontaneo: esso è il frutto di un disegno coltivato da decenni da élite che hanno come unico scopo la sottomissione dell’uomo. Non parliamo qui di una semplice “influenza culturale” o di un normale confronto di idee, ma di un progetto deliberato di svuotamento interiore, volto a trasformare le persone in una massa informe, priva di senso critico, incapace di discernere il bene dal male, male che, oggi più che mai, viene sostituito, attraverso la menzogna, al bene stesso.

Questa manipolazione avviene attraverso molteplici strumenti: i mezzi di comunicazione che diffondono un pensiero unico; il sistema educativo che spesso abdica al compito di formare coscienze libere e si limita a trasmettere nozioni utili solo al mercato, se non addirittura deleterie della stessa dignità umana; la cultura del consumo che induce dipendenze continue; la politica che, più che difendere l’uomo e i suoi valori, diventa complice di tali dinamiche in nome della stabilità o del consenso. Il tutto viene giustificato con parole nobili — progresso, inclusione, libertà — che però nascondono un vuoto, e spesso un inganno.

Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus, ammoniva che una società che non riconosce più valori morali oggettivi si espone a una nuova forma di totalitarismo, magari più sottile, ma non meno oppressivo. Benedetto XVI, con lucidità profetica, ha più volte denunciato la “dittatura del relativismo”, quella mentalità che cancella ogni verità in nome di una libertà apparente, che però lascia l’uomo in balìa del più forte, del più aggressivo, del più rumoroso. Già Leone XIII, con la Rerum Novarum, aveva messo in guardia dall’illusione di un progresso che dimentica Dio e riduce l’uomo a semplice ingranaggio di un meccanismo sociale o economico: togliendo il fondamento trascendente, l’edificio civile non può che crollare.

Charlie Kirk, con i suoi limiti e la sua passione, aveva intuito questo meccanismo e non aveva paura di denunciarlo. Per questo molti lo consideravano scomodo. Non si trattava semplicemente di posizioni politiche: egli aveva compreso che dietro la crisi morale e sociale del nostro tempo c’è un attacco radicale alla libertà e alla dignità dell’uomo. La sua voce, rivolta soprattutto ai giovani, cercava di risvegliare coscienze assopite, di smascherare i meccanismi di manipolazione che trasformano gli individui in numeri, in consumatori, in ingranaggi senza identità.

Come difendersi da questo attacco? Innanzitutto tornando a formare coscienze libere, radicate nella verità e non nel relativismo. Difendendosi dall’omologazione che svuota l’individuo di responsabilità e discernimento. Coltivando comunità in cui il confronto sia reale e non pilotato, in cui il bene non sia confuso con il male. Ritornando a Dio, perché solo in Lui l’uomo trova il criterio ultimo della sua dignità e la forza per opporsi all’ingiustizia.

Il Cardinale Sarah ha detto con chiarezza che l’Occidente ha sulla coscienza il rifiuto di Dio. In questo rifiuto affonda le radici la nostra crisi: quando si nega Dio, inevitabilmente si nega anche l’uomo, perché è da Dio che l’uomo riceve la sua dignità inalienabile. È un rifiuto che genera vuoto, che apre la porta all’odio, all’individualismo, alla disgregazione.

L’assassinio di Charlie Kirk non è una semplice tragedia: è la spia di una malattia più ampia. Se persino il confronto politico, che dovrebbe essere palestra di idee e di visioni differenti, diventa terreno di sangue, quale futuro attende le nostre società? Se l’odio viene giustificato, se il male viene travestito da bene, se chi osa professare ideali o valori viene ridotto al silenzio con la violenza, che mondo consegneremo alle generazioni che verranno?

La morte di Charlie Kirk, allora, non può essere solo compianta. Deve diventare per tutti un richiamo a riprendere in mano il timone della storia, a non lasciare che la corrente del disfattismo e dell’odio trascini via il meglio della nostra civiltà. È tempo di agire concretamente, di combattere coloro che odiano l’uomo e vogliono ridurlo a schiavo di ideologie o interessi che lo separano dal bene.

Se oggi non ritroviamo il coraggio di riaffermare i valori veri e universali, se non rimettiamo Dio al centro del nostro vivere sociale e personale, il futuro sarà solo un moltiplicarsi di tragedie come questa. Ma se sapremo riscoprire la forza della fede, il rispetto reciproco, l’amore alla verità, allora il sacrificio di Charlie non sarà stato vano: resterà come testimonianza di una resistenza possibile, di una lotta che vale la pena di combattere.

Caro Charlie, la tua vita non è stata vana. La tua testimonianza porterà frutto. La tua ricompensa sarà eterna e nessuno potrà rubartela mai. 

A Dio caro fratello in Cristo!

(Foto tratta dal web)

sabato 6 settembre 2025

«Verso l’alto»: perché la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati parla a tutti e non solo ai giovani.

 




Domattina, domenica 7 settembre 2025, alle ore 10:00 in Piazza San Pietro, la Chiesa proclamerà santo Pier Giorgio Frassati insieme a Carlo Acutis, nella prima canonizzazione del pontificato di Papa Leone XIV. Un momento atteso da decenni da fedeli di tutto il mondo, che vedranno finalmente riconosciuta ufficialmente la santità di un giovane laico capace di unire preghiera, amicizia, studio, sport e carità operosa. VaticanoGiubileo 2025Vatican News

Come abbiamo già raccontato in questo blog, Frassati è una figura che “parla” al cuore dei ragazzi: non perché perfetto, ma perché integralmente umano, innamorato di Cristo e dei fratelli. La sua beatificazione del 20 maggio 1990 accese un entusiasmo che non si è mai spento; da allora l’attesa di chiamarlo “Santo” è cresciuta anno dopo anno nelle parrocchie, nei movimenti giovanili, nelle scuole e nelle università. Vaticano

Un santo della porta accanto: fede, amicizia, montagna, città

Pier Giorgio (Torino, 1901–1925) è stato studente universitario, terziario domenicano, appassionato di montagna e — soprattutto — fratello dei poveri. Nelle conferenze della San Vincenzo e nelle strade della sua città imparò a riconoscere il volto di Cristo negli ultimi. Non si accontentava di “fare del bene”: desiderava che il Vangelo fermentasse le strutture della società. Quella miscela di Eucaristia quotidiana, Rosario, amicizia leale, allegria, servizio e impegno civile lo rese libero e attrattivo.

Il suo celebre “Verso l’alto” — scritto sul retro di una foto della sua ultima scalata — non è uno slogan estetico, ma un programma di vita: tendere al Cielo attraversando con serietà le responsabilità di ogni giorno. È per questo che Pier Giorgio continua a indicare ai giovani una rotta concreta verso Dio, senza evasioni. FrassatiUSA, Inc.USCCB



Perché questa canonizzazione è così importante

1) È un sigillo ecclesiale su una pedagogia della santità feriale. Con Pier Giorgio la Chiesa ribadisce che la santità non è riservata a chi vive in clausura o svolge ministeri ordinati: è la via di tutti, percorribile dentro lo studio, il lavoro, lo sport, la politica, l’amicizia. In un’epoca che spesso separa spiritualità e vita quotidiana, Frassati ricuce l’unità.

2) È una risposta ai desideri dei giovani. I ragazzi non cercano star morali, ma testimoni credibili. Pier Giorgio non predicava dall’alto: condivideva gite, esami, delusioni e scherzi, e da lì invitava a scelte grandi. La sua gioia robusta — capace di sacrificio, non di superficie — mostra che il Vangelo non ruba nulla, ma dilata la libertà.

3) È un atto di memoria e di profezia sociale. Il giovane torinese fu “uomo delle Beatitudini”, come lo definì San Giovanni Paolo II, capace di tradurre misericordia e giustizia in gesti concreti. In un contesto segnato da disuguaglianze, precarietà e solitudini, la sua canonizzazione ricorda alla comunità cristiana che l’adorazione di Dio e la scelta degli ultimi sono inseparabili. EWTN VaticanCatholic Review

4) È un dono per l’Anno Giubilare della Speranza. Non è casuale che il rito avvenga in questo 2025 giubilare, e che sia tra le prime canonizzazioni di Papa Leone XIV: la Chiesa ci indica due giovani — Frassati e Acutis — come compagni di strada per riaprire alla speranza la vita di tanti. Vatican News


Che cosa dice ai giovani di oggi

  • Amare Dio con tutto e dentro tutto. Pier Giorgio non “aggiungeva” preghiere alla vita: abitava la vita con un cuore pregante. L’Eucaristia quotidiana gli dava tono, il Rosario concretezza, la Parola criteri.

  • Custodire amicizie vere. Il suo gruppo di amici — tra studio, escursioni e carità — dimostra che la santità è sempre corale. Nessuno si salva da solo.

  • Servire senza rumore. La carità discreta fu il suo stile: visite agli ammalati, farmaci pagati, tempo donato. Oggi, dove tutto si posta, Frassati invita a una gratuità senza hashtag.

  • Tenere insieme vette e periferie. Le vette della montagna allenavano il suo sguardo a cercare l’Assoluto; le periferie della città gli insegnavano dove abita Cristo. Due movimenti che si richiamano e si equilibrano.



Quattro passi pratici per camminare “con” Pier Giorgio
  1. Un’ora per gli altri ogni settimana. Scegli un servizio stabile (mensa, doposcuola, visita agli anziani). La fedeltà trasforma più dei gesti eclatanti.

  2. Una vetta al mese. Materiale o simbolica: una camminata in natura, o la “salita” interiore di una rinuncia, di un perdono, di un sì generoso.

  3. Parola–Altare–Poveri. Tre appuntamenti fissi: Vangelo quotidiano, Messa almeno la domenica (meglio anche in un giorno feriale), incontro reale con chi ha bisogno.

  4. Un gruppo di compagni di viaggio. Crea o raggiungi una fraternità (parrocchia, università, movimento): condividete preghiera, studio, servizio e… risate. La santità è contagiosa.



Un’attesa lunga, un grazie dovuto

Questa canonizzazione è stata sperata e preparata per lunghissimo tempo. Ancora molto prima del 1990, quando la Chiesa riconobbe ufficialmente l’eroicità di Pier Giorgio, migliaia di giovani hanno preso il suo nome per oratori, scuole, gruppi, case di accoglienza; quanti racconti di conversioni, vocazioni, guarigioni interiori! Domani quel fiume sommerso salirà in superficie nella grande liturgia di San Pietro, ricordandoci che la santità è aperta a tutti coloro che rispondono positivamente e fattivamente ad una chiamata che, per realizzarsi, si deve accogliere.

Come seguire e unirsi alla preghiera

Il rito di canonizzazione inizierà alle 10:00 (ora di Roma) in Piazza San Pietro e non richiede biglietti; l’accesso in piazza è previsto dalle 8:00. Chi non potrà essere presente fisicamente potrà partecipare spiritualmente unendosi alla Messa attraverso le trasmissioni televisive e le dirette delle principali emittenti cattoliche. VaticanoGiubileo 2025


Preghiera breve
Signore Gesù, che hai acceso nel cuore di Pier Giorgio l’amore per Te e per i fratelli, dona anche a noi la sua gioia semplice, la sua audacia evangelica, la sua passione per la santità. Fa’ che, guidati dalla sua intercessione, non ci accontentiamo di poco ma camminiamo ogni giorno “verso l’alto”, fino a Te. Amen.

Domani, sotto il cielo di Roma, la Chiesa canterà il “Gloria” con un nome in più. E non sarà solo il nome di Pier Giorgio Frassati: sarà il nome di tanti giovani che, guardando a lui, ricominceranno a credere che la santità è possibile — e bella — anche per loro.


Foto dal web.

sabato 30 agosto 2025

Cani e città: quando manca il senso civico




Affronto oggi un argomento che apparentemente si colloca al di fuori della tradizionale impostazione cattolica di questo blog, ma che in realtà tocca da vicino la vita di ogni credente. L’educazione civica, infatti, non è un elemento marginale della convivenza sociale: essa rappresenta il terreno concreto sul quale si misura la capacità di un cristiano di testimoniare, attraverso i propri comportamenti quotidiani, il rispetto per l’altro e per il mondo che lo circonda. Vivere con senso civico significa, in fondo, vivere la carità in una forma pubblica e concreta, traducendo in gesti visibili quel comandamento evangelico che ci invita ad amare il prossimo come noi stessi.

Oggi più che mai, tuttavia, ci troviamo di fronte a una deriva culturale che rischia di svuotare questo valore. Da una parte, si assiste alla diffusione di una mentalità fondata su un ambientalismo spesso ridotto a slogan, utilizzato in maniera strumentale per interessi economici o ideologici, che nulla hanno a che vedere con la custodia autentica del creato. Dall’altra, si perde di vista la vera responsabilità che ogni persona ha nel prendersi cura del bene comune e degli spazi condivisi. In questo modo il rispetto per l’ambiente e per le relazioni sociali viene sostituito da una forma di estetica o di moda del momento, che non incide realmente sul modo di vivere quotidiano.

Il rischio è quello di una contraddizione evidente: si parla di tutela della natura in termini astratti e globali, ma poi si tollerano comportamenti quotidiani che sporcano, degradano e offendono la bellezza del creato. Si innalzano bandiere di ecologismo ideologico, mentre si chiude un occhio davanti all’incuria delle strade, all’abbandono dei rifiuti o all’uso sconsiderato degli spazi pubblici. È questa incoerenza che rivela quanto sia urgente recuperare il senso autentico di un’educazione civica, che non è semplice rispetto delle regole, ma riconoscimento del valore intrinseco di ogni frammento di realtà che ci è stato affidato.

Per un cristiano, questo significa tornare a vedere nella società e nel creato non solo luoghi di transito, ma spazi da custodire come dono ricevuto. Un dono che comporta responsabilità, perché il rispetto per l’ambiente e per gli altri è la prima forma di testimonianza della nostra fede. Non c’è vero amore per Dio se non si traduce in amore e rispetto per ciò che Egli ha creato e per le persone con cui ci chiama a vivere.

Le nostre città vivono da tempo una contraddizione evidente: da una parte, l’amore verso gli animali domestici, in particolare i cani, che sono diventati veri e propri compagni di vita; dall’altra, l’incapacità di gestire questa presenza in modo civile e rispettoso della comunità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: marciapiedi trasformati in latrine a cielo aperto, muri e portoni imbrattati dall’urina, giardini pubblici invasi da deiezioni non raccolte. Un quadro che non solo degrada il decoro urbano, ma mina la salute pubblica e la qualità della convivenza quotidiana. 

La radice del problema non è l’animale, che non ha colpa, ma il comportamento dei proprietari. In Italia, più che altrove, manca una solida educazione civica di base che insegni a considerare la cosa pubblica come patrimonio comune da rispettare. Siamo un Paese in cui troppo spesso si pensa che ciò che è di tutti, in realtà, non sia di nessuno, e quindi possa essere utilizzato e maltrattato senza conseguenze.

Questa mancanza è stata amplificata da anni di lassismo istituzionale e da un permissivismo che ha fatto credere che ogni comportamento sia legittimo. Il risultato è una forma di “deviazione civica” che porta molte persone a credere che sia naturale lasciare il proprio cane sporcare sui marciapiedi, o che sia accettabile trattare l’animale come un figlio e gli spazi urbani come un’estensione della propria casa. Ma la città non è un salotto privato: è un luogo di convivenza, e in quanto tale richiede regole e rispetto reciproco. Un altro elemento che alimenta il problema è la diffusa “tolleranza di facciata”: chi si lamenta o richiama all’ordine viene subito etichettato come intollerante, nemico degli animali o persona insensibile. Si crea così un paradosso: il cittadino che difende il bene comune diventa bersaglio di critiche, mentre chi sporca e viola le regole viene considerato nel giusto.

mercoledì 20 agosto 2025

L’antropologia spirituale e la difesa della domenica nel Magistero della Chiesa

 


L’antropologia spirituale parte da un dato fondamentale: l’uomo non si esaurisce nel lavoro, nella produzione o nel consumo. Come ricorda il Concilio Vaticano II, “l’uomo… non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé” (Gaudium et spes, 24). Ciò significa che la persona ha bisogno di aprirsi a Dio e agli altri, trovando nel tempo del riposo e del culto lo spazio privilegiato per questo incontro.

Quando la società cancella la domenica, essa non priva solo i cittadini di un giorno di pausa, ma snatura la stessa struttura spirituale dell’uomo, che ha necessità di un tempo “gratuito”, non finalizzato al profitto.

La domenica, giorno del Signore, nasce dal comandamento sabbatico: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo” (Es 20,8). Per i cristiani, questo precetto trova compimento nella Risurrezione di Cristo, avvenuta nel primo giorno della settimana, che diventa così il nuovo giorno del Signore (dies Domini).

San Giovanni Paolo II, nell’enciclica Dies Domini (1998), afferma con chiarezza: “Non abbiate paura di dare tempo a Cristo! Sì, apriamo a Cristo il nostro tempo, perché Egli lo illumini e lo orienti” (n. 7). Questo tempo, che la domenica rappresenta in modo unico, non appartiene al mercato né alla logica del consumo, ma è segno della libertà del cristiano.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro: La domenica e gli altri giorni di festa di precetto i fedeli sono tenuti ad astenersi da quei lavori e attività che impediscono di rendere culto a Dio, di godere della letizia propria del giorno del Signore, di fare le opere di misericordia e di avere il giusto riposo della mente e del corpo (CCC, 2185).

Questo precetto non è solo un dovere morale, ma anche una protezione della dignità umana. La Chiesa si oppone al lavoro domenicale sistematico perché esso:

  • distrugge il tempo della famiglia e della comunità,

  • riduce l’uomo a produttore e consumatore,

  • cancella il segno pubblico della fede e dell’appartenenza cristiana

  • mina nel profondo il senso e il significato della Resurezione di Cristo dalla morte.


Papa Benedetto XVI ricordava che “senza Dio l’uomo non sa dove andare né riesce a capire chi egli stesso sia” (Deus Caritas Est, 28). Proprio per questo, la perdita della domenica conduce inevitabilmente all’indifferentismo religioso: se il tempo non è più aperto a Dio, Dio diventa irrilevante nella vita quotidiana.

Alla luce dell’antropologia spirituale e del Magistero, la missione della Chiesa è chiara: custodire la domenica come patrimonio di umanità e di fede. I sacerdoti, in particolare, hanno la responsabilità di:

  • Educare i fedeli a comprendere che la domenica non è un optional, ma il cuore della vita cristiana.

  • Denunciare profeticamente le logiche economiche che schiavizzano l’uomo e annullano la sua apertura a Dio.

  • Proporre alternative comunitarie, valorizzando la Messa domenicale, le opere di carità, i momenti di condivisione familiare e parrocchiale.

  • Contrastare l’indifferentismo religioso, mostrando che senza la domenica l’uomo perde se stesso e la società si impoverisce spiritualmente e umanamente. Difendere la Domenica significa custodire la nostra identità cristiana e umana, riscoprirne il significato e restituire il nostro tempo a Dio.

La domenica non è un semplice giorno di pausa: è il segno della libertà dell’uomo che sceglie di orientarsi verso Dio. Ma se oggi lo stesso clero abdica a questo annuncio, alla possibilità di fare riscoprire al popolo il significato del riposo come mezzo per giungere ad una maggiore intimità e amicizia con Dio, se lo stesso clero ammicca di fronte all'invadenza del mercato che mercifica l'uomo e lo utilizza come mezzo di lucro per affari milionari, come potrà l'uomo liberarsi dal gioco del mercato? Come potrà Dio ritornare al PRIMO posto nel flusso della vita quotidiana? La Domenica serve proprio per ricaricare le energie disperse nella frenesia della settimana e aiutare i fedeli a ri-orientarsi verso Dio. 

Come scrive San Giovanni Paolo II:
“Non abbiate paura di vivere la domenica come giorno del Signore e dell’uomo” (Dies Domini, 7).

Ecco perché "Difendere la domenica significa in definitiva difendere l’uomo".

D.D.


foto dal web


venerdì 15 agosto 2025

Assunzione di Maria Santissima in Cielo

 




Se c'è una Solennità cattolica che mi ha da sempre particolarmente colpito è quella della Assunzione in Cielo di Maria Santissima con l'anima e il corpo. 

Questa Solennità ci dice tante cose ed ispira molte considerazioni. Se da una parte può essere inserita in  quei misteri della fede che umanamente sembrano infittire la grande domanda su Dio, dall'altra parte offre allo sguardo di chi cerca la Verità - che è Dio Stesso  - una grande risposta di consolazione. 

Maria, creatura perfetta, rappresenta l'umanità così come era stata pensata da Dio sin dall'origine dell'intera creazione. Essa, preservata dal peccato sin dal suo concepimento, ci mostra la nostra meta e il fine dell'esistenza di ogni uomo e donna che vive sulla terra. 

Cosa è infatti la vita umana se non il cammino faticoso e umile di chi si pone alla ricerca dello scopo, del senso e della meta della sua esistenza? Solo chi si pone integralmente e con determinazione su questo sentiero a volte impervio, altre più chiaro, altre ancora faticoso e all'apparenza quasi irragiungibile, può cogliere la bellezza dei silenzi e delle ispirazioni della Grazia divina. 

Maria è la creatura che con la sua vita e il suo esempio, spiana la strada, illumina il cammino e insegna ai Suoi figli la direzione per giungere a Suo Figlio. Lei che oggi è nella Patria a cui tutti noi uomini su questa terra siamo chiamati a raggiungere, ci mostra quale sarà il dsestino di coloro che si saranno impegnati con zelo a portare avanti la faticosa sfida di lasciarsi guidare e illuminare da Dio. 

Affidare la propria vita a Maria, significa affidarla a Dio Stesso. Colui dal Quale abbiamo ricevuto la vita, è Lo Stesso che siamo interiormente chiamati a ritrovare nel percorso dell'esistenza terrena. Il solo ed unico scopo del vivere è infatti, conoscere Lui per essere plasmati da Lui e vivere in Lui.

In questo giorno così solenne, in cui la Chiesa proclama la regalità celeste della Madre di Dio, lasciamoci interrogare da una Verità che incalza la nostra intelligenza e la nostra coscienza. impariamo l'umiltà della "serva del Signore" al Quale Ella si è affidata per compiere nella sua vita la Sua Volontà. 

Scopriremo solo allora le meraviglie che il Signore può realizzare anche nella nostra vita. 

 D.D.

giovedì 24 luglio 2025

Riprendiamoci la Domenica: restituiamola a Dio, restituiamola alle famiglie


(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2185)


Nel cuore della fede cattolica, la Domenica è sempre stata molto più di un semplice giorno di riposo: è il Giorno del Signore, il dies Domini, tempo sacro in cui il Cielo si affaccia sulla Terra attraverso la Santa Messa, la preghiera comunitaria e il ristoro dello spirito. Eppure, in una società sempre più sradicata dalle sue radici cristiane, assistiamo a un lento, silenzioso ma costante svuotamento di questo giorno santo.

Viviamo immersi in un sistema che idolatra il profitto e il consumo. Il valore dell’uomo è misurato in base a ciò che produce, consuma o possiede. In questo mondo, l’individuo è ridotto a un numero: il cliente, il dipendente, il consumatore. I ritmi della vita moderna hanno trasformato anche la Domenica in un giorno qualsiasi, spesso peggiore degli altri, dove supermercati e centri commerciali brulicano di gente mentre gli altari delle nostre chiese si svuotano. I lavoratori vengono obbligati, con la forza del bisogno o del ricatto economico, a sacrificare la loro giornata di riposo. Ma a quale costo?

Il prezzo che paghiamo è altissimo: lo pagano le famiglie che non riescono più a ritrovarsi, a condividere un pranzo, un dialogo, una passeggiata; lo pagano i bambini, privati della presenza dei genitori; lo paghiamo tutti, in termini di solitudine, di individualismo, di alienazione. Senza relazioni vere, senza tempi condivisi, si disgrega il tessuto umano e sociale, e con esso anche quello spirituale.

La Domenica, invece, è un dono. È il giorno in cui Dio ci chiama a sé in modo particolare, ci invita a santificare il tempo con la Messa, a ristorare il corpo e l’anima, a riscoprire la bellezza dello stare insieme. È il giorno in cui la famiglia può tornare a essere tale, senza la frenesia della settimana, senza la tirannia dell’orologio.

Noi cattolici eredi di una Fede millenaria, non possiamo tacere davanti a questo scempio. Non possiamo restare indifferenti mentre la Domenica viene spogliata del suo valore sacro. Dobbiamo gridarlo con forza e chiarezza: la Domenica è del Signore! Non del mercato, non della produzione, non del guadagno. È un tempo sacro che ci è stato affidato, e abbiamo il dovere di custodirlo.

Riprendiamoci la Domenica! Salviamola dallo sfruttamento e dall’indifferenza. Usiamo questa giornata per riunire le famiglie, per coltivare le relazioni, per sostenere i più soli. Ma soprattutto, usiamola per dare culto a Dio, per inginocchiarci davanti al Tabernacolo, per ricevere con cuore puro il Pane della Vita.

Che le nostre comunità tornino a essere vive la Domenica! Che le campane delle chiese tornino a richiamare i fedeli, che il silenzio dal frastuono consumistico e materialista torni a parlare nel giorno di festa al cuore dell’uomo. Solo così potremo ricostruire una società più umana, più vera, più santa.

Restituiamo a Dio ciò che è di Dio. Restituiamo a noi stessi la gioia di vivere pienamente la Domenica.

Difendere la vita, sempre: contro la cultura della morte travestita da libertà


 

In questi giorni si parla molto di eutanasia, ma se ne parla in modo inquietante, come se fosse l’ultimo grande atto di libertà. Giornali e televisioni celebrano con toni epici il gesto di chi sceglie di porre fine alla propria vita, come fosse un trionfo della volontà sull’umana fragilità. Ma siamo davvero sicuri che sia questa la strada della dignità? Che uccidersi o lasciarsi uccidere sia il segno più alto dell’essere padroni di sé?

Come cristiani, non possiamo restare in silenzio di fronte a una simile deriva. Siamo chiamati, oggi più che mai, a dire con chiarezza e carità che la vita è un dono sacro, un bene indisponibile che nessuno può arrogarsi il diritto di spegnere.

La stampa parla di “diritto”, di “scelta lucida”, ma mai — o quasi mai — parla della solitudine, della disperazione, del vuoto e dell’abbandono spirituale che accompagnano il gesto estremo dell'eutanasia.

Si tace soprattutto su ciò che accade in quei Paesi dove l’eutanasia è ormai legalizzata da tempo. In Olanda, nel solo 2024, oltre 9.900 persone sono morte con eutanasia, un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. E crescono i casi di giovani affetti da disturbi psicologici, senza malattie terminali, che ottengono il permesso di morire. Alcuni di loro non volevano morire, ma non hanno trovato nessuno disposto ad accompagnarli nella loro sofferenza.

Una visione ribaltata: la vita come ostacolo, non come dono

Ciò che impressiona è il cambiamento di paradigma: oggi molte vite vengono considerate “non degne” solo perché non rispondono a certi standard di efficienza o autonomia. La vita fragile, dipendente, ferita, viene giudicata “inutile”. Ma inutile per chi? Per una società malata di produttivismo e paura del dolore?

Siamo di fronte a una mentalità profondamente laicista e materialista che riduce l’uomo a una somma di funzionalità. È la negazione dell’ontologia umana, del valore intrinseco di ogni persona, indipendentemente da ciò che può fare o da quanto può durare la sua esistenza.

Di fronte a questa confusione morale, l’insegnamento della Chiesa risuona con chiarezza e misericordia. Il valore della vita non è negoziabile, perché essa è sacra, creata da Dio e destinata all’eternità.

San Giovanni Paolo II – Evangelium Vitae (1995)

“L’eutanasia è una grave violazione della legge di Dio [...]. È un atto intrinsecamente cattivo, in ogni occasione e circostanza.” (n. 65)

Il Papa non si limita alla condanna. Indica anche la via: accompagnare, curare, consolare. Mai abbandonare chi soffre.

Catechismo della Chiesa Cattolica

“Noi siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.” (n. 2280)

“L’eutanasia diretta [...] è moralmente inaccettabile.” (n. 2277)

 Congregazione per la Dottrina della Fede – Samaritanus bonus (2020)

“La scelta dell’eutanasia si presenta come una falsa compassione [...]. La vera compassione sostiene la persona nel dolore, senza sopprimerla.”

Questi insegnamenti non parlano solo ai credenti. Riguardano ogni coscienza aperta alla verità. Perché il rispetto della vita non è un dogma confessionale, ma una verità universale che ogni società giusta dovrebbe riconoscere.

Come cristiani non possiamo tacere. Non possiamo accettare che la morte venga normalizzata come una soluzione. Dobbiamo educare, testimoniare, pregare. Ma anche impegnarci con coraggio nella società per difendere i più fragili. Perché se una civiltà non protegge i suoi malati, i suoi anziani, i suoi deboli, non è più una civiltà: è una barbarie tecnocratica travestita da progresso.

Ogni vita merita di essere vissuta. Anche quella che soffre. Anzi, soprattutto quella che soffre. Perché è lì che Dio si fa vicino, che l’amore si purifica, che il cuore si apre al mistero. Non c’è vita inutile. E non c’è morte “bella”. C’è solo la verità di un’esistenza accolta come dono, accompagnata come vocazione e custodita fino alla fine con speranza.