domenica 7 settembre 2008

La custodia eucaristica Orientamenti pratici sotto il profilo dei beni culturali

PONTIFICIA COMMISSIONE PER I BENI CULTURALI DELLA CHIESA

RELAZIONE DI S.E. MONS. MAURO PIACENZA

Cenni sulla storia del tabernacolo

La conservazione del corpo del Signore (più raramente del sangue) si è sempre praticata nella Chiesa, per assicurare l’Eucaristia ai malati e soprattutto il viatico ai moribondi (Concilio di Nicea, 325). Essa era pertanto eminentemente pratica, e il luogo deputato a tale “riserva” non era legato necessariamente al “santuario”, dove c’era l’altare e neppure all’edificio sacro. Le teche contenenti le sacre specie erano depositate in apposite cavità, chiuse da porte (armarium, sacrarium), incassate nel muro laterale del presbiterio o della sacristia. Si veda come esempio il bel tabernacolo cosmatesco del 1299, sull’arco trionfale della basilica di San Clemente a Roma. Molti di questi tabernacoli a muro, a forma di edicola, sovrastati da un timpano e spesso riccamente decorati, sono sopravvissuti dal medioevo o dal rinascimento fino ad oggi, cambiando destinazione, ad esempio, come luogo per la conservazione degli oli santi. La conservazione dell’Eucaristia poteva però avvenire anche sopra l’altare, in appositi contenitori a forma di coppa (pisside, ciborium), di scrigno o di colomba, appesi mediante catenelle al baldacchino. Tali contenitori erano rivestiti di un drappo di stoffa disposta a forma di tenda, da cui deriva, appunto, il nome di tabernacolo. A questi si aggiunse nei secoli XV-XVI un terzo modo per conservare il sacramento: delle torrette eucaristiche di pietra o di altro materiale, spesso imitazioni di celebri edifici gotici o rinascimentali. Per la forma e la monumentalità, esse non sono semplici recipienti della riserva eucaristica, ma delle custodie che denotano adorazione. Esse sono infatti testimoni di una armonica e positiva evoluzione del culto dell’Eucaristia che durava già da parecchi secoli.

Nella metà del sec. XI, infatti, le speculazioni di Berengario di Tours (morto nel 1088) circa la presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche suscitarono una viva reazione nel popolo di Dio, che con il proprio “sensus fidei” aumentò i caldi sentimenti di adorazione. Essa si manifestò però non in un ritorno alla comunione frequente, purtroppo abbandonata da molto tempo, ma nello sviluppo, peraltro provvidenziale dell’adorazione dell’Ostia, mostrata nel bel rito dell’elevazione nella santa Messa, introdotto proprio in quel periodo. Successivamente fu istituita la solennità del Corpus Domini (1264) e si diffuse la pratica delle solenni processioni del Santissimo Sacramento (XIV sec.). Era naturale che in questo contesto, la custodia eucaristica non potesse essere più un semplice armadio, ma dovesse assumere un posto d’onore, come avvenne per le torri eucaristiche. È pure evidente che la negazione, ancor più radicale, della transustanziazione e della presenza reale da parte della cosiddetta Riforma protestante, accentuasse nella Chiesa, madre e maestra il culto dell’Eucaristia. San Carlo Borromeo a Milano e molti zelanti vescovi di quella generazione, nel promuovere la riforma anche architettonica delle chiese, introdussero il tabernacolo così come lo conosciamo noi oggi. Si tratta di una cassa solida e stabile, posta al centro dell’altare, con una porta chiudibile a chiave. Abitualmente il tabernacolo è rivestito di tessuti preziosi all’interno e all’esterno di un velo bianco o dei colori liturgici, che continua a giustificarne il nome. Esso è anche sovrastato da una croce, per significare la relazione fondamentale con la Santa Messa, con il sacrificio di Cristo. Nel quadro della pietà eucaristica, sorta in epoca tridentina e giunta fino a noi, che ha come elemento qualificante l’esposizione prolungata del santissimo Sacramento – sul modello delle “Quarantore”, apparse in Italia nel sec. XVI – il tabernacolo assunse anche la funzione di supporto per l’ostensorio.


La custodia eucaristica nell’organizzazione dello spazio liturgico
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Riservando all’Eucaristia un luogo apposito, l’adorazione e la preghiera privata dei fedeli può risultare favorite. Lo spazio della custodia eucaristica, che è per sua natura luogo di silenzio e di preghiera personale, e dunque un luogo improntato alla discrezione, non appartiene di per sé allo spazio eucaristico (quello della celebrazione) né, nelle chiese monastiche, a quello dell’Ufficio divino (il coro). Distinzione, però, non significa separazione. Nelle nuove chiese si possono pensare soluzioni di cappelle ben distinte ma collegate all’altare. Nell’adeguamento di chiese basilicali, un luogo distinto ma collegato all’altare potrebbe essere una delle cappelle in fondo alla navata laterale, a fianco del presbiterio, oppure una delle due cappelle terminali del transetto. Tuttavia ogni caso va valutato a sé. Risulta più complesso, ad esempio, il caso dei monasteri nei quali si debba considerare l’esigenza della clausura. In questo caso il tabernacolo, che deve essere sempre unico, dovrebbe essere visibile sia alla comunità monastica sia ai fedeli, che stanno dalla parte opposta di un muro o di una grata.
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La Chiesa canta “Ecce panis Angelorum”. “Ecce”, “ecco”. Questo “ecco” diventa un po’ il cartello segnaletico che indica dove è il Santissimo Sacramento dell’Altare, dov’è il Tesoro di noi pellegrini sulla terra, dov’è la nostra insostituibile divina compagnia. “Ecco” la presenza di Nostro Signore Gesù Cristo; “ecco” la Presenza reale che abita la santa ostia consacrata.
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La SS. Trinità per incontrarci mentre camminiamo ancora nella storia, ha scelto di venire sul nostro percorso: nel Figlio eterno ha assunto un corpo. Noi per incontrare qualcuno abbiamo bisogno della strumentalità corporea. Se siamo tristi piangiamo, se siamo allegri cantiamo, se esprimiamo cordialità porgiamo la mano, se vogliamo consolare sorridiamo e così via. Tutte le relazioni passano attraverso il corpo.

Il Corpo del Signore è il Dio con noi, la sua offerta plenaria accade nel corpo. Del resto, per noi uomini viatori, come potrebbe essere possibile ricevere il dono se non nella carne?

Nei segni tangibili del pane e del vino cogliamo la Presenza reale del nostro Salvatore.

Lui, che è il nostro Tutto, viene a noi nel frammento di quel pane.

Lì c’è la Presenza “reale” non perché le altre presenze non siano vere (“reali”) ma per antonomasia, perché è sostanziale e, in forza di essa, Cristo, Uomo-Dio, si fa presente tutto intero.

L’ostia consacrata custodisce realmente la persona di Nostro Signore. In quell’ostia consacrata c’è la presenza salvifica di Nostro Signore perché è il memoriale della Croce, dell’Agnello immacolato, sacrificio gradito al Padre. Cosa può esserci di più grande sotto la volta del cielo di quel pane consacrato? Cosa – o meglio – “Chi di più dolce, di più amabile, di più gradevole, di più adorabile?

Questo dono assolutamente inestimabile è consegnato – e ciò è stupendo quanto tremendo – alla nostra libertà. Per la libertà, la presenza reale del Crocifisso morto e risorto permane nelle specie eucaristiche dove pane e vino sono transustanziati, per la potenza dello Spirito Santo, nel corpo immolato e nel sangue versato da Gesù.

Spesso, con vibrante intensità espressiva, i nostri fratelli d’Oriente parlano dell’Eucarestia come “Mysterium tremendum”. In effetti è un oceano di grazia: l’abbassamento, la chenosi del Figlio di dio che si affida alla fragile libertà dell’uomo.

La nostra piena realizzazione si attua nella santa comunione col corpo di Cristo e nella adorazione della sua reale Presenza sacramentale.

Da secoli e secoli la Madre Chiesa ha educato i propri figli ad adorare Gesù sacramentato.

Egli rimane in mezzo a noi, nel tabernacolo, ed aspetta che andiamo ad incontrarlo, aspetta che gli dedichiamo qualche momento per riconoscere così il suo immenso amore.

Ma occorre la carità pastorale di committenti che comprendano la necessità di questa visita e di artisti che, in ascolto della sana dottrina eucaristica ed infiammati dalla reale Presenza – per personale esperienza – pongano i propri talenti a disposizione, per gridare con essi quell’Ecce, Ecce Panis Angelorum!


http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_commissions/pcchc/documents/rc_com_pcchc_20050729_custodia-eucaristica_it.html



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