martedì 16 settembre 2008

Lo Stato laico non vive «a prescindere» dalla religione



di Carlo Dignola

Il motto della nostra epoca potrebbe essere quello di Totò: «A prescindere». Anche la laicità viene intesa così: facciamo i bravi cittadini, aperti, tolleranti, multiculturali, ma soprattutto sempre atteggiati, nella vita pubblica, «a prescindere» da tutto ciò che per ciascuno di noi conta qualcosa. Per la mentalità diffusa esiste una sfera privata in cui «ognuno crede ciò che vuole»: ad esempio crede di essere cristiano oppure buddista oppure crede di essere ateo (anche questa «fede» nella non-esistenza di Dio oggi è guardata con un certo sospetto dal pensiero politically correct ).

E poi c'è invece la sfera delle relazioni umane in cui, grazie alle virtù dello «Stato laico», ogni cittadino non crede più a niente: al massimo dialoga, si confronta, scambia pareri ed esperienze con il suo vicino di casa ma sempre, rigorosamente, «a prescindere».

Dove nasce quest'idea un po' infiacchita della laicità? Se n'è parlato ieri in Università, in un bell'incontro organizzato dalla Fuci: non molti gli studenti presenti, il livello del dibattito invece è stato notevole. Diverso, per intenderci, da quello di tre settimane fa in via dei Caniana, dove si paragonava la religione al volo dell'elefantino Dumbo e Gesù Cristo a un personaggio letterario come Madame Bovary: «Affermazioni che non sono degne di un'Università», come ha detto ieri il professor Angelo Marchesi.
La domanda chiave è stata posta subito da Claudio Vegetali, segretario della Fuci bergamasca, che ha chiesto ai relatori se «il termine "laico" sia da intendere in opposizione a "religioso"». Roberto Pertici, storico, ha risposto che la separazione tra Stato e Chiesa è «uno degli elementi che ha improntato il volto dell'Occidente e che lo ha distinto dal resto del mondo», ma esistono due tipi di laicità molto diversi.
Oggi, con l'immigrazione di fedeli musulmani e anche ortodossi, sul territorio nazionale si diffondono idee e comportamenti diversi dai nostri: non tutti gli italiani del XXI secolo ammettono la pacifica esistenza di diverse identità religiose o hanno la stessa concezione dei rapporti uomo-donna. Di fronte a questi «nuovi problemi», e ai timori connessi, si va diffondendo una «laicità negativa» per la quale la religione, appunto, è meglio che rimanga «un fatto privato». Lo Stato viene ridotto a terreno neutrale «non solo nei confronti della religione ma anche di ogni principio etico».

Esiste però anche una laicità diversa, che non considera la religione come un'entità nemica, anzi la «apprezza, e inserisce» tra i fattori della storia del popolo che, non dimentichiamolo, in una democrazia sorregge la stessa legittimità del potere costituito. Lo Stato può considerare la Chiesa un fattore in grado di contribuire al bene comune, in un rapporto di «distinzione e al tempo stesso di collaborazione».

Silvio Troilo, costituzionalista, ha fatto notare un particolare che di solito sfugge: «Nella nostra Costituzione la parola "laicità" non c'è». Non è vero però che, a causa della presenza del Vaticano sul nostro territorio, in fatto di laicità noi siamo il fanalino di coda in Europa. Troilo ricorda che la Costituzione greca si appella apertamente alla religione ortodossa, sancisce il primato del patriarca di Costantinopoli e proclama persino l'immodificabilità di una certa traduzione delle Scritture. La Costituzione irlandese inizia invocando «la santissima Trinità», e nella laicissima Gran Bretagna il capo dello Stato (la Regina) governa anche la Chiesa anglicana (altro che separazione!), e il primo ministro Tony Blair ha potuto dichiararsi cattolico solo dopo aver lasciato il potere.

I sovrani danesi - aggiunge Pertici - non possono non essere luterani. E queste sono tutte Costituzioni perfettamente vigenti, perfettamente europee, che nessun Pannella o Boselli celtico o sassone o calcidico chiede di stracciare.

Lo Stato italiano - dice Troilo - accetta e anzi garantisce «il pluralismo confessionale e culturale», senza «confusione» ma anche senza «ostilità» verso la religione. La nostra Costituzione, che è un testo di alto livello giuridico e segna anche un grande momento di sintesi politica, indica la via di una «laicità collaborativa» che forse sarebbe meglio non tentare stupidamente di «superare».

© Copyright Eco di Bergamo, 28 febbraio 2008

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