mercoledì 8 ottobre 2008

I nuovi perseguitati



Indagine sulla intolleranza anticristiana nel nuovo secolo del martirio


Antonio Socci


Contrariamente alle apparenze, è stato di gran lunga il Novecento il secolo del più grande macello di cristiani. Nel periodo che va dalla Rivoluzione francese ad oggi, ma in particolare nel XX secolo, sono state scatenate persecuzioni mai viste in 2000 anni per ferocia, vastità, durata e quantità di vittime.


[…] Se in 2 millenni sono stati calcolati circa 70 milioni di cristiani uccisi per la loro fede, ben 45 milioni e mezzo (circa il 65 per cento del totale) sono martiri del XX secolo. Questa persecuzione planetaria del cristianesimo è tuttora in corso, sebbene venga per lo più ignorata dai mass media e dagli stessi cristiani occidentali. […]


Didier Rance nel suo volume Un siècle de témoins ha raccontato ciò che accadde al romeno padre Gavril Bielovejdov – un uomo che aveva sopportato undici tremendi anni di lager – quando venne a Roma alla fine degli anni Ottanta. Era stato invitato a raccontare il calvario della Chiesa rumena in una università pontificia dove lui stesso aveva studiato, molti anni prima e il cui rettore era stato suo compagno di studi. Padre Gavril dunque raccontò con semplicità e precisione il martirio di tanti sacerdoti, le crudeli torture (conosciute di persona), i lager e la fede e la speranza invincibile di quei cristiani. Uscendo dall’aula incontra un prete italiano che gli dice: «la prossima volta non racconti sciocchezze come ha fatto oggi». Padre Gavril sbigottito riesce solo a dire: «E perché? Io non ho riferito che la verità». E l’italiano: «Ma via! I miei studenti mi hanno appena detto: ma questo prete racconta balle: se crede che noi siamo così imbecilli da credergli…».


Volemose bene.

Il mensile paolino Jesus del gennaio 2002 annuncia in copertina la meritoria iniziativa di un martirologio con questo titolo: “Sotto il segno della croce”. Colpisce però una cosa in quella galleria di ritratti proposta da Jesus: non c’è una sola vittima cristiana dei regimi comunisti o islamici, che poi sono la stragrande maggioranza. Neanche una. Com’è possibile? Una svista? O cos’altro? Ci sono, giustamente, martiri di regimi di destra. Vi si celebrano poi due monaci che non sono morti come martiri, ma che hanno avuto problemi con l’autorità ecclesiastica (la solita Chiesa cattiva) e infine un segretario dell’Onu morto in un incidente aereo. Si arriva ad elencare un islamico fra coloro che «hanno seminato la parola del Vangelo nel cuore del popolo di Dio». Ma dell’immane macello di cristiani perpetrato dal comunismo nessuna traccia, come pure delle persecuzioni anticristiane dell’Islam. Mentre non manca mai il ricordo delle colpe di cui si sono macchiati i cristiani stessi.

Un altro esempio. Il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti pubblica ogni anno da Feltrinelli un grosso volume di dati, ricerche, statistiche e cronologie relativi ai fatti sociali più seri e drammatici dell’Italia e del mondo. Consideriamo l’edizione Annuario sociale 2000, un testo di 762 pagine fitte fitte, davvero pieno di documentazione, un lavoro utile e accurato. Si va dal capitolo sull’Aids a quello sull’ambiente, dalle carceri alle mafie, dalle droghe all’immigrazione, alle povertà, ai conflitti e ai diritti. Ma non si trova traccia delle persecuzioni anticristiane o più generalmente delle persecuzioni religiose e delle loro migliaia di vittime. Solo qualche flash inserito nelle note sulle aree di crisi. Eppure ci sono capitoli dedicati alla pena di morte negli Stati Uniti e agli armamenti, alla globalizzazione e al debito del Terzo Mondo. Ma non a quei derelitti dimenticati da tutti. Il dramma dei cristiani sembra non esistere. La questione sociale diventa l’esclusivo campo di interesse. C’è dunque un cattolicesimo che - secondo Gianni Baget Bozzo - «è preoccupato solo di essere dalla parte dei poveri, ma non dei poveri cristiani».


Sudan, due milioni di morti.

Il 10 dicembre 1998, a 50 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il New York Times scrisse: «mentre tutti i leader mondiali celebrano con grande solennità la dichiarazione dei diritti dell’uomo, nessuno, chissà perché, si ricorda del Sudan. Eppure in quel paese il Fronte nazionale islamico sta conducendo un sistematico genocidio, soprattutto nella parte meridionale a maggioranza cristiana. È un conflitto che ha già provocato più vittime che Ruanda, Bosnia e Kosovo messi insieme: 1 milione e 900 mila uomini, donne e bambini. La stragrande maggioranza non sono ribelli, bensì civili, colpevoli solo di non pensarla come gli islamici del regime». Le cifre del genocidio pare siano perfino più gravi rispetto al bilancio fatto nel ’98 dal New York Times. Amnesty International nel Rapporto annuale 2001 afferma che «alla fine del 2000, la guerra civile, ripresa nel 1983, era costata la vita a quasi 2 milioni di persone ed era stata la causa dello sfollamento forzato di altre 4 milioni e 500 mila persone. Inoltre si ritiene che circa 500 mila persone abbiano cercato asilo all’estero». […] Tutto questo proprio mentre i pacifisti italiani marciavano sulla Perugia-Assisi contro gli Stati Uniti (rei di voler colpire Bin Laden).

Il 7 ottobre 2001 per esempio è passato pressoché sotto silenzio l’ennesimo bombardamento di un villaggio sudanese, nel distretto di Mangok, in cui sono stati uccisi 15 bambini e 8 sono stati feriti (anche una donna è stata ammazzata). Akiir aveva 7 anni, Atong 8, Athuai 4, Maciek 12 anni… […] Com’è possibile ignorare la guerra più lunga del XX secolo, nel paese più grande dell’Africa, con quell’enorme numero di vittime?

La risposta di Peter Hammond, esperto di questioni sudanesi, è sconsolata: «Credo che si tratti della classica mentalità da ABC, “Anything But Christianity”, tutto fuorché il cristianesimo.

Sembra che quando le vittime sono i cristiani, i media laici non sappiano fare altro che riscoprire il proprio inveterato pregiudizio e semplicemente non ne raccontano le storie». […] L’assurdo è che un regime così, la cui Corte Suprema – spiega Hammond - «ha stabilito che la crocifissione degli apostati è costituzionale… abbia rimpiazzato quello statunitense nella Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite».



I mea culpa della Chiesa.

Il papa stesso, nella solennità del grande Giubileo del 2000 […] è partito da un’umiliante, pubblica e dolorosa serie di mea culpa. È stato un fatto stupefacente, ma non nuovo nella storia della Chiesa. Ne sono state date tante interpretazioni, ma la domanda a cui rispondere è: […] perché solo la Chiesa può fare una cosa del genere senza crollare sotto il peso delle colpe dei suoi? Perché la Chiesa non ha bisogno di “aver ragione”, di rivendicare i suoi meriti storici immensi, di mostrare la grandezza e la santità che hanno illuminato duemila anni, ma fin dal suo inizio, fin dal Vangelo mostra la storia del suo primo capo, Pietro, il martire Pietro, sottolineando il suo tradimento e il suo umiliante pianto fino al perdono affettuoso di Gesù? Don Luigi Giussani, in uno splendido articolo a commento dei mea culpa del Papa, spiegava che ciò può accadere perché «a nulla fuorché a Gesù il cristiano è attaccato». Di fronte a lui anche la santità dei più grandi cristiani non è che un panno sporco, come già diceva il profeta Isaia. Questo spiega il gesto d’umiltà del papa: è a Cristo che si deve guardare.


(fonte: Acqua Viva)

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