giovedì 16 ottobre 2008

L'amore sconosciuto


Vi propongo un interessante catechesi sulla truffa "dell'amor cortese"...


"Tristano e Isotta non si amano... ciò che essi amano è l'amore e il fatto stesso d'amare.
Ed agiscono come se avessero capito che tutto ciò che si oppone all'amore lo garantisce e lo consacra nel loro cuore, per esaltarlo all'infinito nell'istante dell'abbattimento
dell'ostacolo che è la morte"

(Denis De Rougemont)

Sull'amore sono stati scritti moltissimi libri e saggi e articoli; non deve stupire visto che esso segna il nostro vivere, il nostro quotidiano. Se ne parla dappertutto ed in ogni salotto televisivo. Esistono anzi alcune trasmissioni specifiche sul caso "amore" dove si alternano "vati" vecchi e nuovi a dare le loro lezioni di vita.
Per chi segue Gesù, per chi è cristiano non vi è altra risposta che quella di un'esperienza storica e fondante della vita di Cristo morto e risorto per me e per te che leggi.
Giovanni nelle sue lettere pastorali ne parla così:

Giov. 3,16 "Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare

la vita per i fratelli" (traduci il "dobbiamo" con possiamo.. perché non è un dovere etico ma una possibilità e un'esigenza scelta nello Spirito)
e ancora :
Giov. 4,7 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. [8]Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. [9]In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. [10]In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Dunque la misura di ciò che è amore è Dio stesso e la sua "passione" per noi fatta carne in Gesù Cristo.
Ma torniamo all'aforisma di cui sopra.
Denis De Rougemont, scrittore illuminato, fa nel suo libro "L'amore e l'occidente" (che consigliamo vivamente di leggere) una analisi sistematica, filologica e storica del concetto di amore così com'è inteso soprattutto in occidente. La sua tesi si sviluppa in un tracciato secondo cui la lirica cortese sarebbe derivata dall'eresia catara e dalla sua teologia manichea e abbia poi influenzato tutta la narrativa (e non solo) dell'occidente per l'amore-passione da contrapporre ad una visione "più istituzionale" del matrimonio. Il testo, com'era immaginabile, ebbe numerosissime critiche, per lo più inconsistenti.

Tuttavia il problema era stato centrato: "ciò che misura l'amore sono le pene che si vivono per esso".

La questione come si vede non è solamente narrativa o televisiva (basti guardare i minestroni affettivi delle telenovelas o film classici sull'amore in ogni tempo) ma piuttosto psicologica e talvolta teologica.
Teologica perché una certa visione distorta ha influenzato anche una pastorale affrettata della cura dei malati e nell'amministrazione dei sacramenti (soprattutto il matrimonio) mettendo i credenti in situazioni di "croce" istituzionalizzandole e aprendo così facilmente la via alla visione borghese di una vita spaccata; affronteremo però la delicatezza dell'argomento, nel dettaglio, in un'altra riflessione.
Di sicuro certa teologia crucis non è per niente cristiana ma piuttosto pagana e "catara" per questa continua ricerca della sofferenza a vantaggio della preziosità dell'amore e non dell'amato. La croce c'è con l'esistenza, non va cercata, ed ognuno ha la sua nel disegno d'amore del Padre senza dimenticare mai che la sofferenza è una condizione transeunte e non definitiva. Qui risiede una corretta visione della teologia della croce.
Nella teologia crucis dell'amore cortese invece la sofferenza prende il posto delle finalità e abbrutisce l'essere umano chiudendolo alla Speranza e al significato redentivo della sofferenza e del limite. Guai a noi cristiani quando portiamo un'etica senza evangelizzazione... il dovere cristiano non è un dovere kantiano o greco o romano... né tanto meno massonico.
Il dovere cristiano nasce "dal debito" che abbiamo nei confronti dello Spirito Santo che ci è stato donato soprattutto con il battesimo (vd. Lettera ai Romani cap. 8 di S. Paolo).
L'esigenza morale per il cristiano non è un'imposizione esterna né solamente un'esigenza naturale ma nasce dalla "conoscenza" di Dio la quale a sua volta nasce o viene confermata dal Kerygma, dall'annuncio e dalla Sua Chiesa. Dare una morale senza un annuncio di Cristo morto e risorto che entri nel profondo della vita equivale a legittimare una "catena" etica che facilmente porta il soggetto a misurare la propria autostima non sull'amore di Dio per lui ma sul "soffrire per il soffrire", sulla "rinuncia per la rinuncia", sulle fughe di ogni tipo.
E questo non è cristianesimo ma catarismo bello e buono e anche "Nicolaismo" se vogliamo (vd dizionario Eresie in sez. Catechesi).
La superficie cristiana rischia, talvolta, di nascondere l'eresia; cioè il nostro inconscio non è evangelizzato ed ogni nostro amare e soffrire non è illuminato dalla Passione, Morte e Resurrezione di Gesù. Ed è per questo che sono rari i "testimoni" del Vangelo... molti gli annunciatori ma pochi i testimoni. E' per questo che Giovanni apostolo può dire "abbiamo conosciuto" proprio perché egli fece un bagno di Grazia radicale e di profonda intimità con Cristo che lo porta poi ad essere testimone e guida nel martirio più doloroso e vero che ci sia.

Psicologicamente qui sta il punto: dietro una visione di teologia crucis pseudo-catara si nasconde una profonda patologia dell'amore a se stessi e quindi agli altri. E non c'è niente di più gratificante, direi veramente lussurioso, che consacrare la propria sofferenza con un "Dio lo vuole"; forse talvolta è così ma non nel senso che gli vogliamo dare noi! Ed è la mancanza di luce, di discernimento nello Spirito Santo che fa dire certe castronerie. Dio solo sa quante volte facciamo dire allo Spirito Santo cose che Egli non pensa neppure... e questo solo perché siamo paralizzati dalla paura di crescere e di assumerci delle responsabilità verso noi stessi e verso i fratelli.
Ma il rischio più grande è proprio quello di Tristano e Isotta e cioè che i due non si amino affatto ma amano piuttosto il proprio soffrire e lo consacrano all'infinito come valore ultimo proprio perché in definitiva non amano neanche se stessi.
L'altro è in definitiva un estraneo e non un dono... perché io sono un estraneo per me stesso!

Quante coppie vivono all'infinito delle storie impossibili solo perché in realtà non amano l'altro ma solo: il proprio soffrire, la proiezione di ciò che l'altro è nella nostra testa, la propria impossibilità di vivere una "storia", un cammino alla luce di Dio con l'altro.
Questa è la vera lussuria di coppia che cementifica l'estraneità dell'altro nel tempo. Visione che, in seconda battuta, giustifica la gelosia, il controllo, il "comprare" l'altro oppure la mancanza di fedeltà matura.
Vi è dunque una cosificazione dell'amore. L'altro è oggetto e mezzo per consacrare il mio soffrire o la mia immagine. L'altro fonda la mia autostima proprio perché irraggiungibile. Se soffro in sostanza vuol dire che valgo, che sono
.
Soffro dunque sono, potremmo affermare.

Il Cristiano non fonda la sua vita sull'impossibilità dei propri fantasmi ma sulla concretezza dell'Amore di Dio, il quale Egli solo fonda il tuo essere e ti dona la capacità di donarti. Anche in situazioni non solo difficili ma impossibili. Ma lo fa con una Parola nuova ed uno spirito nuovo, discreto, fatti di luci più che ombre; di gioia più che di autocommiserazione. Di libertà più che di catene. Di responsabilità più che di fughe... e quante possono essere queste fughe... persino istituzionalizzate dal vivere sociale... Dio ne è testimone!
Per Dio infatti non è così! Egli ci ha amato e ci ama a tal punto che, paradosso dei paradossi, diventiamo quasi "il dio per Lui" perché Egli sceglie la via di farsi bimbo per entrare nelle nostre vite soprattutto nel mistero del Natale. Quando Gesù nelle beatitudini di Matteo dice "beati quelli che soffrono perché saranno consolati" non lo fa esclusivamente in un proiezione futura escatologica ma bensì in una condizione che cambia nel momento che accogli Gesù nella tua vita; cioè ora!
Il "saranno" indica, infatti, ciò che accade e cresce, da ora, nella tua visione delle cose; e questo non come alienazione soporifera, come "oppio" autoconsolante per chi non ha speranza ma, piuttosto, come realtà nuova che si schiude con "verità e potenza" in colui che crede!
Credere non è mettere Dio al centro della propria vita. Dio non sta al centro ma sta dove ritiene opportuno. Prova a dire ad un bimbo: non essere curioso, non giocare, sta zitto, mettiti in riga... Dio è così, è come un bimbo, non puoi dirgli che cosa fare ma Egli lo fa e non sta dove lo metti tu ma dove è giusto che Egli stia. Non puoi addomesticare Dio... non puoi insegnargli il Suo mestiere d'amante. Dio è come un bimbo ma con la differenza che non fa quello che vuole per capriccio ma per il tuo bene e perché tu abbia la vita e la abbia in abbondanza!
Allontanarsi dall'Amore di Dio senza preghiera, senza il confronto con la Parola, con i fratelli e senza sacramenti non fa altro che legittimare delle mostruosità... coppie che si chiudono alla vita sociale e comunitaria perse nei loro piccoli fantasmi quotidiani, nelle dissipazioni e dalla mancanza di luce... e dall'altra religiosi e sacerdoti che per amare tutti... non amano nessuno e si "cristallizzano" in un egoismo istituzionalizzato perdendo di vista la via della Carità... magari con la pastorale dei numeri o delle caselle oppure in una vita spaccata e una maturità vocazionale incompiuta.
Il rischio di Tristano e Isotta è un rischio di tutti; è un rischio nostro... è, per tutti, religiosi e laici, la perdita del fondamento e dell'obiettivo e quindi della via della fecondità!
Se si consacra "il nostro soffrire" piuttosto della presenza viva di Gesù vivo nella nostra vita, otteniamo delle mostruosità sotto la parvenza di atti spirituali.
Gesù, invece, sempre, sempre e ancora sempre dona una parola di speranza... soprattutto ora in questo Natale che viene. E' Lui... è un bimbo, è disarmato e, proprio per questo, Signore e maestro.
Ascoltiamolo!

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